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Così i Pasdaran chiudono la “rivoluzione delle illusioni”. Il commento di Pedde

La sollevazione di capodanno del popolo iraniano è giunta al capolinea? È quanto lascia intendere il comandate dei Guardiani della Rivoluzione, il generale Mohammad Ali Jafari. Che oggi pomeriggio ha annunciato “la fine della sedizione”: i pasdaran sono intervenuti “in maniera limitata”, ha detto Jafari, nelle province di Isfahan, Lorestan e Hamedan per sedare le proteste. Sulle quali minimizza, parlando di “un massimo di 1.500 persone in ciascuno dei luoghi, e a livello nazionale non hanno superato la soglia dei 15mila”. “Un largo numero di questi”, ha aggiunto Jafari, “sono stati arrestati e ci sarà un’azione molto ferma contro di loro”.

L’ultimo sviluppo dei tumultuosi eventi iranani non sorprende Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies. “Le proteste sono state fortemente esagerate dall’esterno”, spiega Pedde, “quindi il fatto che si siano già esaurite non mi stupisce”. “Non è stata neanche una rivolta”, precisa. “Non c’era una cabina di regia. Niente a che vedere con la rivolta del 2009, che aveva una matrice politica e delle guide”.

A scendere in piazza sono state peraltro poche persone. “Erano manifestazioni veramente piccole”, dice Pedde. “Quella di Mashhad, che è stata la prima, contava non più di una cinquantina di persone”. Si trattava inoltre di “gruppi sparsi tra loro, non solo in senso geografico. Anche quando manifestavano nella stessa città lo hanno fatto in punti diversi”.

Una protesta limitata e circoscritta, dunque, su cui “sono state fatte affermazioni prive di riscontri. Si pensi ad esempio al blocco dei social media: in realtà non c’è mai stato. Tutti i social funzionano perfettamente, io stesso sono in regolare contatto via social con varie persone in Iran e non ho mai riscontrato interruzioni”.

Più che di una rivolta di massa, estesa e coordinata, bisognerebbe parlare di una “una concatenazione di eventi”.  Si è trattato cioè dell’innescarsi, pressoché simultaneo, di più proteste, messe in atto da gruppi diversi e in nome di istanze differenti. “C’era ad esempio”, sottolinea Pedde, “un gruppo, che è stato quello più consistente, che ha manifestato a Teheran per il fallimento di tre finanziarie che ha causato la perdita di tutti i risparmi. C’erano poi le persone colpite dal terremoto di qualche mese fa, che si sono lamentate per tre motivi: perché si sentono abbandonati, per l’inefficienza degli aiuti e per lo scandalo relativo alla scarsa qualità dei materiali con cui sono state costruite le loro case. C’è stata quindi la protesta della federconsumatori per l’aumento dei prezzi del pollo. Tutte queste proteste sono scattate contemporaneamente, dando l’impressione di un coordinamento, che in realtà non c’era”.

Siamo stati tutti vittima, dunque, di un’illusione ottica? Abbiamo creduto di assistere alla sollevazione del popolo iraniano contro la Repubblica islamica, contro l’ayatollah Khamenei, e si è trattato invece di una serie di episodi limitati e isolati? Dettati comunque, questo sì, da una generale insoddisfazione per la situazione economica.  Una situazione su cui il governo aveva promesso di intervenire. E che avrebbe dovuto cambiare grazie alla caduta delle sanzioni seguita all’accordo sul nucleare (Jcpoa) del luglio 2015.

Nonostante le aspettative, la popolazione non ha però avvertito alcun miglioramento. “Questa è stata una rivoluzione delle illusioni svanite”, dice Pedde, “quelle create dal Jcpoa e dalla fine delle sanzioni, che non ha portato benefici, generando un’insoddisfazione generale. Tutto questo però non ha messo in discussione, come abbiamo sentito dire in questi giorni, il sistema politico, ossia la Repubblica islamica”.

Le proteste avevano invece un obiettivo concreto, secondo Pedde; “la disoccupazione. È questo il problema numero uno degli iraniani. Questo è l’unico dato che sta andando malissimo, perché il dato macroeconomico iraniano non è in calo. Il vero problema dell’amministrazione Rouhani e per il quale la gente si lamenta è creare posti di lavoro. Il problema sono i tanti, troppi giovani a casa”.

 


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