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Antisemitismo? Perché siamo lontani dalla pace. La voce della Comunità ebraica di Trieste

Israele legge

L’antisemitismo è come l’araba fenice: non fai in tempo a dimenticartene che torna a sbucare da qualche angolo. È questo il significato dell’allarme lanciato dal ministero della Diaspora dello Stato di Israele in occasione della presentazione del nuovo rapporto sull’antisemitismo in Europa. Un rapporto che documenta una preoccupante crescita degli episodi di antisemitismo in tutto il continente (ma anche negli Stati Uniti), con punte preoccupanti in Ucraina, Francia e Germania, che il ministero guidato da Naftali Bennet attribuisce a tre fattori precisi: boom dell’estrema destra, imperversare dei social media e fenomeno dei profughi.

Per approfondire questo tema, Formiche.net ha chiesto il parere di Alessandro Salonichio, presidente della Comunità Ebraica di Trieste. Il quale non nasconde la propria preoccupazione per una concatenazione di fenomeni che convergono nell’incrementare la sensazione di insicurezza delle comunità ebraiche presenti nella nostra società.

Alessandro Salonichio, l’antisemitismo è in crescita in tutta Europa, dice il rapporto del ministero della Diaspora di Israele, che se riscontra un calo degli “incidenti antisemiti violenti”, ha verificato anche l’aumento di quelli “generalmente antisemiti”.

L’argomento è estremamente preoccupante, sia per i numeri sia per la qualità dei fenomeni. Stiamo parlando di fenomeni che pur non avendo una connotazione di violenza, aumentano la percezione che ci sia un antisemitismo strisciante. E riteniamo che ciò possa portare ad episodi più gravi. La cosa che più ci preoccupa è la mancanza di una presa di posizione forte da parte delle autorità, sia a livello europeo sia di capi di governo. Non posso evitare di commentare il fatto che anche la forte presenza immigratoria porta a una recrudescenza del malumore della società civile e questo evidentemente scarica i suoi effetti anche sulle minoranze storicamente presenti in loco, come quella ebraica.

Sono tre i fattori alla base di questa recrudescenza: boom dell’estrema destra, profughi e i social media. Quale la preoccupa di più?

Questi tre fattori in realtà si intersecano. Partiamo dai profughi. È evidente che ci sia una certa intolleranza nei confronti di questa presenza e questo porta ad una generale incapacità di sopportare la presenza altrui. I social media evidentemente rende esponenziale questo sentimento di fastidio, anche perché si tratta di mezzi che raggiungono un altissimo numero di persone. Ci sono poi le false notizie, che pongono un altro problema rilevante. Un esempio che vorrei fare riguarda quelle foto che enfatizzano dei particolari di un panorama ben più ampio che viene posto in secondo piano o su cui si glissa. Si pensi al classico soldato israeliano: se si riprende solo una porzione di quella immagine, può sembrare che quel soldato stia offendendo o attaccando una persona; invece, se si allarga l’immagine, si capisce che la situazione è ben diversa. Per cui c’è anche una volontaria mala fede di creare fenomeni di opinione pubblica negativi nei confronti degli ebrei e di Israele. Parlo di Israele a proposito di antisemitismo perché Israele è un canale per arrivare a quelle persone che non hanno idee propriamente di estrema destra o non sono per forza intolleranti verso il diverso: fomentando l’antisionismo si riesce a intercettare l’attenzione di quelle frange che vedono Israele come stato razzista, opinione che molto spesso nasconde una forma di antisemitismo strisciante. Quanto all’estrema destra, noi vediamo che sta crescendo in diversi Paesi, anche con fenomeni violenti. Questi fenomeni violenti si mescolano spesso a quelli perpetrati dalle popolazioni immigrate, creando un mix esplosivo. Noi siamo profondamente preoccupati, ed è compito di tutti noi presidenti di comunità ebraiche sollecitare l’attenzione delle comunità locali coinvolgendo anche le forze dell’ordine.

Il Rapporto denuncia anche la “istigazione da parte degli Stati estremisti islamici”, che offre “legittimità normativa e religiosa agli attacchi contro gli ebrei”.

Basta pensare allo Statuto di Hamas, che non riconosce lo Stato degli ebrei. O all’Iran, alla Siria, ma anche diversi paesi dell’area mediorientale che hanno più volte giustificato o addirittura armato la mano di chi attacca gli ebrei. Ma penso anche alle ripetute interpellanze, risoluzioni e prese di posizione in sede Onu da parte di paesi arabi o dell’area subsahariana contrari ad Israele. La mia posizione è di totale sdegno verso questi atteggiamenti che ci portano ben lontano da ogni prospettiva di pace.

Qual è la sua percezione del caso Italia? Riscontra una situazione di particolare rischio?

Sento di poter dire che l’Italia sia un paese dove gli ebrei ancora non rischiano la vita a camminare per strada con la kippah in testa o frequentando i luoghi di ritrovo ebraici come sinagoghe o scuole. Vero è che viviamo in uno Stato che sta tutelando la nostra sicurezza negli spazi di aggregazione. Mi rendo conto che anche in Italia stanno crescendo gruppi estremisti che ce l’hanno apertamente anche contro gli ebrei. Manifestazioni come quella di Milano di tre settimane fa in cui sono stati urlati slogan stragisti nei confronti degli ebrei, ma anche manifestazioni come quelle di Casa Pound o Forza Nuova dove si inneggia a gerarchi nazisti o si esibiscono simboli nazisti e fascisti, tutto questo ci preoccupa.

Sono solo dei balordi quelli che stampano adesivi con Anna Frank o c’è qualcosa di più profondo?

La mia reazione iniziale è stata di credere che si trattasse di qualche cretino che, nel contesto di una specifica tifoseria, si era già distinto per atteggiamenti preoccupanti come cori antisemiti o slogan contro persone di colore. Ho pensato che in quella specifica circostanza quelle persone avessero scelto di utilizzare un altro simbolo per far valere il proprio disprezzo per la squadra avversaria. Ma poi ci ho ripensato, perché questi fenomeni sono purtroppo contagiosi e spingono altre tifoserie a copiare questo tipo di simbologia. Se si pensa poi a come attraverso i media questi soggetti ottengono un momento di protagonismo anche al di là dell’ambito locale, non si può che essere preoccupati. Su questo dobbiamo stare attenti a non ingrandire fenomeni pur gravi, perché le prime pagine spesso creano emulazione e, in seconda battuta, anche assuefazione.

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