Anche nel 2017 si è registrato un aumento di pratiche relative all’invalidità civile e al riconoscimento dello stato di handicap, situazione che dimostra la consistenza della rete dei caregivers coinvolti nell’assistenza di queste persone, che sono moltissimi. È urgente non occuparsi solo del cosiddetto “fine vita”, ma soprattutto di chi la propria vita la vive fra tante difficoltà legate allo stato di disabilità e alcune – ancora troppo poche – Regioni si dimostrano all’avanguardia con la legge per i caregivers, riconoscendone per prime il ruolo. Ma occorre, tuttavia, pensare alla dignità della vita, non solo a quella della morte. La disabilità compromette fortemente l’esistenza della persona interessata e della famiglia, oltre che della comunità in cui vive. Occorre sostenere maggiormente le famiglie con misure ad hoc relative ai permessi lavorativi, alla fiscalità, all’assistenza domiciliare e ai presidi concreti che sostengono la difficile quotidianità.
Sono necessari coordinamenti a livello regionale degli interventi in materia di disabilità, prevedendo percorsi il più possibile personalizzati e completi, al fine di renderli più efficaci ed efficienti, tenendo conto della dignità delle persone e delle loro famiglie, ponendo l’attenzione su tutto il percorso di vita della persona con handicap, dalla nascita alla morte, non solo sulla fine.
La legge finanziaria 2017 ha stanziato 60 milioni per dare un primo segnale di attenzione a coloro che assistono i famigliari non autosufficienti ma serve una normativa che consenta un coordinamento di tutti gli interventi sociali preposti che rischiano di essere frantumati sia a livello nazionale sia locale con sprechi e perdita della governance sulla persona e su chi l’assiste con il rischio di non assicurare poi a chi ne ha effettiva necessità l’assistenza. Si stima siano 3,3 milioni in Italia i parenti che accudiscono bimbi e adulti con serie patologie congenite e anziani, gravemente ammalati e sempre più numerosi.
Secondo l’Istat, gli ultraottantenni rappresentano già il 6,5 per cento della popolazione, il picco è atteso nel 2030 e si contano 19mila ultracentenari: tre volte in più di dieci anni fa. L’aspettativa di vita è di 84,6 anni, per le donne, e di 79,8 anni, per gli uomini. Lo squilibrio maggiore tra generazioni si registra in Liguria: 28 per cento di anziani (record nazionale) contro 11,5 per cento di bambini e teenager. Dunque, intervenire deve essere una priorità strategica. Una delle priorità del prossimo governo è quella di far approvare il testo unico con quattro articoli già depositato. Il primo indica, appunto, le finalità delle misure, il secondo segnala un modello possibile: le province autonome di Trento e Bolzano, con propri atti programmatici, in accordo con i Comuni e le aziende sanitarie locali, ai familiari di anziani e disabili assicurano informazioni puntuali, opportunità di formazione, sostegno psicologico e aiuto in situazioni di emergenza, anche attraverso personale qualificato e visite mediche a domicilio, scambio di esperienze e volontariato, consulenze e contributi per adattare gli spazi di casa.
L’Emilia riconosce sostegno attraverso specifiche linee guida (approvate a giugno 2017 e riferite alla legge regionale 2/2014). Così la Campania e la Lombardia caldeggiano comuni tutele. Il caregiver ha una aspettativa di vita fino a 17 anni inferiore alla media. Stanchezza fisica, stress emotivo, problemi psicologici, isolamento sociale sono solo alcuni dei fattori di rischio. Non servono corsi per imparare a fare ciò che la maggioranza fa già da 20, 30, 40 anni, gestiti con le poche risorse messe a disposizione a solo vantaggio di associazioni e cooperative.
Occorre innanzitutto disporre sgravi fiscali come in Francia e introdurre modalità di conciliazione tese a favorire la flessibilità sul lavoro. I caregiver non hanno bisogno di essere “etichettati” ma hanno necessità di una svolta sostanziale nella loro vita, faticosa e silenziosa con altre agevolazioni concrete e giorni di permesso al lavoro.