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Quel caso che piegò Finmeccanica. Ne vogliamo discutere? L’appello di Annalisa Chirico

Esiste un “caso Finmeccanica” sul quale una classe dirigente degna di questo nome dovrebbe stimolare un ampio dibattito nel Paese. È normale che in un Paese evoluto dell’Occidente una delle maggiori aziende statali perda un contratto da 770 milioni di dollari per un’inchiesta che si risolve in una bolla di sapone? E se ciò accade, si può forse accettare che nessuno ne risponda? Ecco, nella campagna elettorale ormai avviata i partiti dovrebbero confrontarsi anche su questo. Perché dal modo in cui è amministrata la giustizia dipende non soltanto il livello di tutela delle nostre libertà fondamentali, ma anche la competitività del sistema Paese.

La sentenza di appello bis del tribunale di Milano che ha assolto in via definitiva l’ex presidente della holding Giuseppe Orsi, (nella foto), e l’ex ad della controllata Agusta Westland Bruno Spagnolini segna una pagina nera per la giustizia italiana. Gli ingredienti della grave patologia nazionale ci sono tutti: l’inefficienza procedurale (un’odissea giudiziaria lunga quattordici anni), l’uso disinvolto della custodia cautelare in carcere (Orsi ha trascorso 83 giorni, da innocente, dietro le sbarre), il trial by media con l’inevitabile condanna preventiva sulla piazza mediatica (memorabili, insieme a certi titoloni, alcune puntate di “Report” che descrivevano Finmeccanica come “una famiglia di fondi neri”).

La vicenda nasce a Napoli dove i pm Henry J. Woodcock e Vincenzo Piscitelli, indagando su una fantomatica associazione a delinquere denominata P4, raccolgono le dichiarazioni di Lorenzo Borgogni, ex addetto stampa di Finmeccanica, relative agli appalti che Agusta Westland ha vinto per fornire dodici elicotteri al governo indiano. Da lì l’inchiesta viene trasferita per competenza alla procura di Busto Arsizio (che arresta Orsi).

A causa della clamorosa iniziativa giudiziaria, corredata da arresti eccellenti e grancassa mediatica, l’India dapprima congela il contratto finito al centro di uno scandalo per corruzione, e solo in un secondo momento, all’esito di una intensa attività diplomatica, si giunge alla soluzione di un arbitrato tuttora in corso. Adesso che l’assoluzione conferma l’assenza di prove di una presunta attività corruttiva, rimane l’amarezza per una vicenda che ha recato un danno, questo sì reale, all’immagine del nostro Paese nel mondo, al made in Italy, ai posti di lavoro e all’interesse nazionale. Inutile attendere le scuse di qualcuno, ci siamo ormai assuefatti alla logica della irresponsabilità eretta a condotta di vita.

Nelle prossime settimane però il confronto politico sulle ricette per rendere ancora più grande un già grande Paese dovrebbe passare da qui, dal “caso Finmeccanica”. Ce lo auguriamo.


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