Tanti ne parlano, qualcuno lo definisce “dirompente” o “rivoluzionario” ma nessuno sa quantificare il suo potenziale impatto su banche e istituzioni. Stiamo parlando del Fintech, la trasformazione del settore finanziario grazie all’Ict, cui la rivista online “European Economy” dedica un intero numero.
L’editoriale, a firma del board composto da Giorgio Barba Navaretti, Giacomo Calzolari, Alberto Franco Pozzolo e José Manuel Mansilla Fernández, evidenzia fin dal titolo la complessità della questione: “Fintech e banche: amici o nemici?”. “La tensione tra stabilità e competizione è alla base dell’intero dibattito su FinTech e su come regolarlo – si legge – . La questione cruciale è se e in che misura FinTech stia sostituendo le banche e le altre istituzioni finanziarie esistenti. E se, nel fare ciò, ne nascerà un sano processo competitivo che migliori l’efficienza in un mercato con elevate barriere all’ingresso o piuttosto ne deriveranno interruzioni e instabilità finanziaria”. L’idea di fondo degli economisti di “European Economy” è che “FinTech aumenti la concorrenza nei mercati finanziari, fornisca servizi che le istituzioni finanziarie tradizionali non forniscono affatto o lo fanno in modo meno efficiente e ampli il bacino di utenti di questi servizi”.
Detto questo, le aziende del settore “non sostituiranno le banche nella maggior parte delle loro funzioni chiave”. Infatti il FinTech fornisce “gli stessi servizi delle banche, spesso con maggiore efficienza a causa delle tecnologie, ma in modo diverso e disaggregato”. Le aree della sua espansione “effettiva e potenziale” sono quella dell’esecuzione di transazioni (pagamenti, compensazione e regolamento); quella della gestione dei fondi (deposito, prestito, raccolta di capitali e gestione degli investimenti); quella delle assicurazioni. “La capacità di incidere sostanzialmente su tutti i servizi tipicamente offerti dalle istituzioni finanziarie tradizionali, come le banche – chiariscono nell’editoriale -, deriva dalla riduzione dei costi implicita ai progressi della tecnologia digitale, da prodotti migliorati e nuovi per i consumatori e da un carico normativo limitato”.
Fintech e banche possono dialogare fra di loro in modo costruttivo, come in alcuni casi di sistemi di pagamento quali ad esempio i pagamenti Apple al posto delle carte di credito. “Le banche perdono parte dei loro margini, ma mantengono l’interfaccia finale con i loro clienti e, grazie all’efficienza di questi nuovi sistemi, espandono la loro gamma di attività. Quindi, in questo caso, potrebbero esserci forti complementarità tra banche e FinTech”. Di sicuro, però, “le banche non spariranno. Se alcune lo faranno, saranno sostituite da altre, più efficienti. Le vere vittime non saranno le attività bancarie, ma soprattutto i piccoli istituti di credito e i lavoratori del settore”.
Sempre parlando di concorrenza, i quattro economisti sostengono che “le più grandi banche sembrano aver capito che FinTech non è un dettaglio momentaneo nella storia dell’industria finanziaria e quindi reagiscono”. Nel futuro invece “le banche piccole e non specializzate saranno probabilmente incapaci di far fronte all’innovazione digitale con l’intensità e la scala richieste (e ciò potrebbe portare a un’altra ondata di acquisizione nel settore bancario stimolata dalla pressione di FinTech)”. C’è di più: “Le grandi banche saranno probabilmente in grado di assorbire e digerire le innovazioni digitali e convergere verso un nuovo tipo di operatore in cui molti servizi finanziari, FinTech e non, vengono offerti insieme”. Una convergenza non nuova nelle industrie digitali, evidenziano Barba Navaretti, Calzolari, Pozzolo e Mansilla Fernández. Si pensi ad Amazon, Apple, Facebook, Google e Microsoft che all’inizio offrivano “diversi tipi di attività commerciali (vendita al dettaglio, computer e telefoni, social network e ricerca)” e che “ora stanno convergendo verso un insieme di attività che mescolano tutte le aree iniziali di specializzazione”.
In un quadro del genere fondamentale diventa la regolamentazione del settore. A questo riguardo “la questione chiave è il compromesso tra concorrenza e stabilità finanziaria”. “L’obiettivo di promuovere la concorrenza nei mercati finanziari – si legge ancora nell’editoriale – dovrebbe portare, in linea di principio, a un approccio normativo più snello rispetto ai servizi finanziari tradizionali. Tuttavia, l’espansione di FinTech pone implicite preoccupazioni, in termini di stabilità finanziaria, che non possono essere ignorate”. Nell’ultimo numero della rivista un articolo affronta proprio questo tema “esplorando l’evoluzione del quadro normativo negli anni Ottanta, quando l’IT e l’innovazione hanno cambiato le attività bancarie tradizionali. In quegli anni, lo schema graduale della deregolamentazione ha portato all’espansione del sistema bancario ombra, ad attività fuori bilancio rischiose da parte delle banche e, infine, alla crisi finanziaria del 2008”. Un approccio “troppo leggero” alla regolamentazione di FinTech può portare a conseguenze simili. “La ragione non è solo la rischiosità di FinTech in sé, ma anche il fatto che le banche, a causa della pressione concorrenziale, potrebbero sfruttare opportunità di arbitraggio normativo e aumentare la rischiosità delle loro attività”. Un altro contributo presente in “European Economy” invece “illustra in modo convincente che bisognerebbe implementare un approccio normativo caso per caso; in sostanza applicare i regolamenti esistenti su Fintech a seconda del tipo di servizi che svolgono”.
Il dibattito continua e “come in tutti i tempi di ampia transizione tecnologica, c’è molto lavoro da fare” ma ne vale la pena visto che il Fintech rappresenta “una cruciale e salutare evoluzione dei mercati finanziari”.