È davvero una ‘boiata’ modificare o abolire la legge che ha preso il nome dal ministro del Lavoro ed economista Elsa Fornero (nella foto)?
A mio avviso la legge Fornero è, tempo stesso, ragionevole ma illogica. Questo il bandolo della matassa di uno dei temi che sono centrali alla campagna elettorale. È ragionevole perché le dinamiche demografiche italiane sono tali che è lecito aspettarsi ingresso nel lavoro a età maggiore che nel passato e soprattutto un’uscita più tardi nell’arco della vita perché cresciuta l’aspettativa media, e soprattutto la probabilità che si allunghi la nostra avventura terrena in buone condizioni fisiche e mentali.
Inoltre, l’Italia ha un’età di pensionamento effettivo (poco più di 63 anni) tra le più basse in Europa a ragione sia di scelte individuali sia della transizione da vecchie normative a quelle ora in vigore, sia di prepensionamenti autorizzati dalle autorità politiche in seguito a crisi aziendali o settoriali (stampa, siderurgia, ecc.). Di conseguenza, per poter ‘sostenere’ un sistema previdenziale occorre lavorare sino ad un età più tarda di quanto avveniva del passato.
La legge Fornero è, però, illogica perché un meccanismo previdenziale ‘contributivo’, in cui le spettanze sono funzione del montante accumulato, cozza con il concetto stesso di ‘età legale per la pensione’ sia essa ‘d’anzianità’ o di ‘vecchiaia’.
Quando nel 1995 venne introdotto ‘il meccanismo contributivo’, chiamato ‘a capitalizzazione simulata’ da uno dei suoi maggiori ispiratori, Alessandro Gronchi, non si è riflettuto sul fatto che qualsiasi sistema a capitalizzazione cozza con l’idea stessa di vincoli ‘legali’ all’età di pensionamento. Chi è rimasto più a lungo al lavoro, ed ha contribuito di più, ha un ‘montante’ più elevato e, quindi, va a riposo con un una ‘rendita’ più elevata oppure può accontentarsi di una ‘rendita’ più bassa e più anni di tempo libero.
In un sistema a capitalizzazione privato (come un fondo pensione), ciò dipende da come sono stati investiti i versamenti degli iscritti. In un sistema ‘a capitalizzazione simulata’, come il nostro (una volta completata la lunghissima transizione del ‘meccanismo retributivo’, in cui le spettanze erano collegate alle retribuzioni degli ultimi anni), dipende dai parametri definiti per legge per la costituzione del montante e per la sua ‘trasformazione’ in spettanze. Più che dall’età in cui si va in pensione.
L’Italia e la Svezia sono stati i precursori di un sistema ormai diffuso in una quarantina di Paesi e conosciuto con l’acronimo NDC (Notional Defined Contributions) ossia a contributi definiti (per legge) e figurativi (ancora per legge) perché i parametri sono stabiliti dal Parlamento. Se tali parametri sono definiti in modo accurato, sarà il mercato a segnalare all’individuo quando andare ‘in pensione’, sempre che egli abbia la capacità e le volontà di badare alle proprie esigenze o di continuare a lavorare.
Negli Stati Uniti, l’età legale della pensione è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema in quanto ‘discriminatoria’ nei confronti degli anziani. È anche un danno alla collettività. Nel mio caso personale, ho raggiunto l’età legale della pensione a 67 anni, dopo 45 anni di servizio pubblico ed ero perfettamente in grado di continuare nella mia funzione. Ho, infatti, continuato a lavorare. Con la conseguenza che da svariati anni, lo Stato paga a me una pensione ed uno stipendio quasi analogo al mio assegno previdenziale a chi mi ha sostituito.
Il 7 gennaio, l’Accademia Filarmonica Romana ha iniziato il 2018 con un apprezzatissimo spettacolo pomeridiano del circa novantaduenne Elio Pandolfi accompagnato dal pianista Marco Scolastica. Sarebbe, quindi, logico che fosse il mercato a dare i segnali agli individui su l’età in cui andare in pensione piuttosto che una norma di legge.
Dato che i mercati non sono perfetti, a mio avviso, un sistema previdenziale ideale dovrebbe essere uno sgabello a tre gambe: una gamba ‘sociale’ a carico della collettività come la old age pension britannica (può essere declinata in vari modi), una gamba NDC basata sul reddito da lavoro, non discriminatoria e tale da lasciare ai singoli la decisione su quando andare a riposo, ed una gamba interamente privata tramite fondi pensioni collettivi o piani di accumulo individuali. Sarebbe meglio lavorare su come articolare questo sgabello che accapigliarsi sulla legge Fornero.