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Vi racconto le priorità di Leu su lavoro e ambiente (e il perché del no a Gori). Parla Muroni

“Il Partito Democratico non può ricordarsi dell’importanza del dialogo solo nell’emergenza”. E ancora, sulle elezioni in Lombardia e sulla decisione di Liberi e uguali di non sostenere il candidato dem, Giorgio Gori: “Ha scelto l’assemblea regionale del nostro movimento: siamo contenti di non aver optato per una decisione verticistica”. Romana, classe 1974 e con una lunga esperienza in Legambiente – dove è stata anche presidente negli ultimi due anni – Rossella Muroni è la coordinatrice della campagna elettorale della forza politica nata dalla convergenza tra Articolo 1, Sinistra Italiana e Possibile e una delle più strette collaboratrici di Pietro Grasso al fianco del quale è apparsa in ripetute occasioni in queste settimane. Formiche.net l’ha intervistata e le ha chiesto delle questioni di più stringente attualità politica – a partire dal rapporto con il Pd di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni – e delle priorità programmatiche con cui Liberi e uguali si presenterà di fronte agli italiani il prossimo 4 marzo.

Muroni, la richiesta del Pd di un’alleanza almeno a livello regionale – e, quindi, anche in Lombardia oltre che in Lazio – non l’ha convinta?

Fino alla mossa di Roberto Maroni il Pd non si era minimamente dimostrato interessato a dialogare con noi. Anzi, ci aveva sempre liquidato senza troppi fronzoli. Poi improvvisamente gli è tornata la memoria.

Non sarà che dopo il passo indietro di Maroni hanno pensato di poter tornare a competere per la guida della regione a patto, però, di poter contare sul vostro appoggio?

Non saprei, a mio avviso però il Pd non ha mai cambiato il suo atteggiamento: si sono sempre dichiarati autosufficienti e dimostrati chiusi al dialogo con gli altri. Ora che la situazione politica è cambiata – anche in loro danno -, ci stanno attaccando per una decisione che ha la sua coerenza. Invece di fare polemiche sterili, dovrebbero ragionare sul perché – in Lombardia e a livello nazionale – si è arrivati a questa situazione. Non è un caso che nel Lazio sia stata presa una decisione diversa.

Ma perché Zingaretti sì e Gori no? Il primo è stato ritenuto più di sinistra del sindaco di Bergamo?

Nicola Zingaretti ha una storia politica e personale ben diversa da quella di Giorgio Gori. Ma non è solo questo: con lui siamo riusciti a entrare nel merito delle questioni, a confrontarci davvero sui contenuti. Non è stata peraltro una decisione semplice visto che anche in questo caso c’erano alcune voci contrarie all’alleanza.

Ma lei l’accordo con Gori lo avrebbe fatto oppure no? Grasso è parso di capire che non fosse contrario.

A parte alcuni dubbi che nutro su Gori, personalmente – già prima del passo indietro di Maroni – avrei provato a creare un dialogo sui contenuti. Però, a questo punto, era troppo tardi. In ogni caso è stato giusto rimettersi alla decisione dell’assemblea regionale.

Quindi l’avrebbe fatto?

Forse, ma occorreva muoversi per tempo. Prima ancora di individuare il nome di Gori. Perché non si sono fatte primarie condivise? Perché non è stato avviato un percorso comune? Alla base di tutto avrebbe dovuto esserci da parte del Pd la voglia di confrontarsi. Non è qualcosa che si può scoprire all’ultimo minuto perché il presidente uscente ha deciso di non ricandidarsi.

Con Zingaretti, invece, le cose sono andate diversamente?

Pur con tutti i  limiti della sua amministrazione, con lui siamo riusciti a costruire un dialogo costruttivo, sui contenuti.

A quali limiti si riferisce?

Al tema rifiuti, ad esempio: è ora che il Lazio faccia un passo in avanti. Lasciamo perdere che i cinquestelle si nascondono dietro un dito, però la situazione di Roma e di tutta la regione dimostra chiaramente che non si è fatto abbastanza. Su rifiuti e pendolari in particolare, a mio avviso, Zingaretti deve fare molto di più e sono convinta che ci siano tutte le condizioni per riuscirci.

Da ex presidente di Legambiente, che tipo di contributo conta di portare in Liberi e uguali su un tema decisivo di questa campagna elettorale come il lavoro?

La sinistra ha una cultura tradizionalmente molto legata alle tutele e alle forme contrattuali. Io penso ci si debba concentrare in particolare su che tipo di lavoro deve essere creato in questa fase di enormi trasformazioni. Deve essere un lavoro diverso, perché il vecchio sta sparendo. Ad esempio, l’architetto del 2018 sa benissimo che gran parte del suo lavoro passa dalla rigenerazione urbana e non più dai grandi insediamenti abitativi. Questi temi in Europa sono pane quotidiano ma in Italia ancora no. E’ questo uno dei principali gap che dobbiamo colmare. Che tipo di lavoro faranno i nostri figli? E di che formazione avranno bisogno a tal proposito?

A questo riguardo, ha fatto molto discutere la vostra proposta di abolire le tasse universitarie per tutti. Ne siete proprio convinti?

Già il fatto che sia stata pronunciata la parola università in campagna elettorale mi pare di per sé importante. E me lo lasci dire, si tratta di una proposta profondamente di sinistra. Il dettato costituzionale sulla gratuità dell’istruzione è da ampliare sempre di più, soprattutto in un Paese in crisi culturale come l’Italia. L’accesso alla cultura universitaria, a mio avviso, è un diritto universale. Di cui devono godere tutti. E non è vero che i ricchi non pagherebbero perché i costi verrebbero spalmati sulla fiscalità generale con una progressione in base ai redditi.

Ma non converrebbe, magari, aumentare le fasce di esclusioni per i redditi meno alti e investire ciò che resta sulla qualità della didattica anziché prevedere una generale abolizione delle tasse?

La realtà è che non ci sono risorse a favore dei giovani senza possibilità economiche. Tra un bonus e l’altro, ne sono rimaste pochissime. D’altro canto non si può negare che vi sia nel nostro Paese un enorme tema di riqualificazione del sistema universitario. Ma, secondo me, non si riuscirà a fare qualcosa in tal senso se prima non si pone in modo dirompente la questione generale dell’accesso allo studio. Aggredire il nodo delle tasse ha significato anche sottolineare i limiti delle nostre università.

Si sta discutendo in questi giorni il decreto sul dibattito pubblico in attuazione del nuovo codice degli appalti. Favorevole o contraria da ambientalista?

Sono assolutamente favorevole al débat public perché consente di coinvolgere i territori sulle decisioni che li riguardano. Il provvedimento va nella giusta direzione, però non possiamo escludere le infrastrutture energetiche. Vanno bene le strade, le autostrade e le ferrovie ma sono convinta che non ci si possa limitare a questo. Imporre dall’alto le decisioni ai territori è deleterio, anche per il semplice fatto che blocca la realizzazione delle infrastrutture. Anche quelle energetiche.

In queste settimane si sta discutendo moltissimo di Ilva. La pensa come il governatore della Puglia Michele Emiliano oppure come tanti altri, tra cui anche la Cgil?

Penso che non si possa bloccare il processo di compravendita dell’Ilva. D’altro canto, però, occorre che il governo chieda misura stringenti per la salvaguardia dell’ambiente e per la salute dei cittadini. Questo è un nodo fondamentale.

In questa prima parte di campagna elettorale come ha visto Pietro Grasso? Soprattutto nel passaggio da un ruolo presidenziale a quello di leader di un movimento politico. 

Sicuramente è uno dei passaggi più delicati da fare, anche dal punto di vista psicologico. Grasso è una figura istituzionale molto amata, da sempre, come dimostra anche la nostra recente visita al mercato rionale della Garbatella a Roma (qui le foto). Pietro è sempre stato un garante, mentre ora è un leader politico di parte. Lo stanno accogliendo con grande affetto, però qualche volta è normale che debba dire cose divisive. Abbiamo scelto lo slogan “per i molti e non per i pochi” è proprio per far capire che quanto diremo cose nelle prossime settimane sarà sempre e comunque nell’interesse di chi in questi anni di lunghissima crisi economica ha sofferto di più.

 

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