Molti politici e manager italiani restano ancora convinti che negli States il paradigma dominante sia quello di Chimerica, l’abbraccio economico tra Stati Uniti e Cina, con i primi che rimodulano la propria identità storica ibridandola con l’Asia. A consolidare questa lettura ha contribuito forse la vecchia profezia di Theodore Roosevelt, pronunciata a San Francisco all’inizio del Novecento, secondo cui il Pacifico sarebbe stato un “nuovo Mediterraneo”.
In epoca più recente, questa idea è stata rafforzata dal sodalizio tra Pechino e Washington. Suggellato tra Kissinger e Zhou Enlai, dapprima in chiave antisovietica e poi dopo molti anni in funzione proprio di Chimerica, l’asse Stati Uniti-Cina ha rappresentato un filone rigoglioso tanto per i conservatori inglesi e statunitensi, quanto per i liberals (Clinton). A un certo punto, tuttavia, l’asse sinoamericano si è incrinato. In Inghilterra, il Brexit del 23 giugno 2016 ha quasi immediatamente stemperato l’interesse cinese per Londra come trampolino per il continente europeo e cerniera virtuale con l’altra sponda del l’Atlantico. Sono inesorabilmente scivolate nel l’oblio sia le immagini glamour della visita di Xi Jinping a Londra e Manchester sul finire del 2015, sia lo spassoso video in cui una regina d’Inghilterra inconsapevole di essere ripresa si lamentava delle maniere poco fi ni dei visitatori asiatici.
Pochi mesi prima di Brexit, poi, l’influente Financial Times era passato sotto il controllo del gruppo giapponese Nikkei, facendo registrare un importante cambiamento nella geografia dell’informazione economico-finanziaria globale. Sul finire dello stesso anno di Brexit, poi, è arrivato il fendente micidiale.
In America si è affermato un presidente, Donald Trump, che nulla ha a che fare con il vecchio corso sinofilo del Grand Old Party, e che proprio della guerra economica alla Cina ha fatto un caposaldo della propria campagna elettorale e dei primi mesi di governo. A poco sono valse la sinofi lia della fi glia Ivanka e del genero Jared Kush ner, come pure l’educazione in cinese impartita alla piccola Arabella Kushner e l’amicizia dei Kushner con Wendi Deng, già signora Murdoch.
La Cina resta particolarmente insidiosa sotto numerosi aspetti fondamentali. Le proiezioni demografiche mostrano un invecchiamento per nulla graduale della sua economia – esito di micidiali politiche di programmazione demografica che hanno allineato Pechino all’Occidente nelle sue piaghe più problematiche, senza tuttavia garantirle un periodo di prosperità altrettanto esteso. Per compensare l’imminente declino demografico, Pechino ha da tempo sviluppato una dottrina strategica il cui perno sono gli investimenti in nuove tecnologie.
[…] Non sorprende, pertanto, che, anche negli ambienti statunitensi meno propensi a lanciare una guerra economica su vasta scala con Pechino, ambiti come quello dei semiconduttori siano una linea rossa invalicabile in cui arginare a tutti i costi lo shopping cinese. Sul piano strategico, Xi si erge a difensore del libero mercato, come ribadito con ampio clamore mediatico nel gennaio 2017, in occasione dell’abituale ritrovo a Davos del World Economic Forum.
Nelle culture in cui ciò che conta è il business e non l’ideologia, non vi è dubbio che la possibilità di avere accesso all’enorme mercato interno cinese in cambio di acquiescenza geopolitica potrà accrescere l’influenza di Pechino. Per certi versi, d’altronde, le modalità con cui Pechino opera nell’agorà economica globale ricordano quelle che in passato caratterizzavano Washington.
Francesco Galietti, Sovranità in vendita. Il finanziamento dei partiti italiani e l’influenza straniera, pag. 117, euro 14,50, Guerini e Associati