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L’Afghanistan, le scelte italiane e i mal di pancia al Pentagono

niger, Afghanistan

Il ministro della difesa italiana, Roberta Pinotti, ha annunciato al Parlamento un piano di riorganizzazione complessiva delle missioni militari all’estero che prevede una riduzione del contingente impiegato in Afghanistan. La presenza su quel territorio è da anni oggetto di un forte dibattito e non solo in Italia. Sia Obama che Trump, appena insediati alla Casa Bianca, annunciarono l’intenzione di ritirare le proprie truppe. I fatti li hanno smentiti e gli Stati Uniti sono ancora lì, con uno sforzo ancora maggiore. Il Pentagono non ha mai fatto velo di considerare la presenza degli alleati come un elemento cruciale nella loro strategia. Fare un passo indietro avrebbe una valenza politica di gran lunga superiore a quella militare effettiva. Di qui la preoccupazione che da Washington filtra in relazione alle dichiarazioni della Pinotti. La riduzione sarà minima o sarà significativa? Come, in quali tempi?

Intanto, non si può non dare conto della visita di ben tre giorni compiuta dai membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu in Afghanistan. È la prima volta che i Quindici vi si recano dal 2010, e a Kabul hanno incontrato il presidente Ashraf Ghani e altri alti funzionari. L’obiettivo della visita, organizzata dal Kazakistan, presidente di turno del Consiglio, ​è​ di avere un resoconto di prima mano dei progressi compiuti dal governo di uni​tà nazionale afghano, con l’assistenza della comunit​à internazionale, nell’affrontare una vasta gamma di sfide, e capire come l’Onu possa sostenere ulteriormente gli sforzi sul terreno. Presente anche l’ambasciatrice americana Nikki Haley​, a testimoniare plasticamente l’interesse degli Stati Uniti per le sorti dell’Afghanistan​.

I membri del Consiglio di Sicurezza hanno ribadito il loro sostegno alle iniziative di riforma del governo, in particolare per contrastare la corruzione e accelerare la cooperazione regionale. Hanno espresso preoccupazione per la situazione della sicurezza, compresa la presenza di combattenti affiliati di Al Qaeda, dei talebani e dell’Isis, nonch​é della connessione tra terrorismo e criminalit​à organizzata. Tutte le parti ​- si legge in un comunicato – ​hanno ribadito la necessit​à​ di una maggiore cooperazione internazionale e regionale in materia di sicurezza.

​Mentre le Nazioni Unite affrontavano il tema della sicurezza nel Paese, il nostro Paese riceveva le lodi per il lavoro svolto proprio lì in Afghanistan ottenendo il plauso della forza armata locale. ​
“L’attività degli istruttori italiani, oltre a un contributo concreto nella fase di pianificazione delle operazioni, sta mostrando i propri effetti sul campo, con i successi ottenuti dall’Esercito nazionale che hanno portato alla disarticolazione di alcune cellule terroristiche ed alla dislocazione di nuove basi avanzate, utili per un maggiore controllo del territorio”. Con queste parole, il comandante del 207° Corpo d’armata afghano ha​ infatti​ commentato l’attività di consulenza a favore dei reparti dell’Esercito Nazionale Afghano effettuata da una squadra di istruttori militari italiani nel distretto di Kushk-e Kohna, a circa 80 km a nord di Herat.

L’attiv​ità​ aveva lo scopo di fornire supporto ai militari afghani nella pianificazione e nel comando e controllo di una delicata operazione di contrasto ad una cellula terroristica.​ Questo impegno finirà o sarà fortemente compromesso? Se ne è discusso in modo trasparente fra Roma e Washington? Le preoccupazioni che giungono informalmente dal Pentagono di certo renderanno più chiara l’esigenza di maggiore chiarezza.


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