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Le truppe Usa rimarranno in Siria a tempo indeterminato. L’annuncio Tillerson

Parlando ieri alla Hoover Institution presso la Stanford University, il Segretario di Stato americano Rex Tillerson ha confermato che le truppe Usa stazioneranno a tempo indeterminato in Siria. Una presenza che servirà non solo a garantire che le forze dello Stato islamico non rialzino la testa, ma anche a condizionare gli equilibri del Paese nel momento in cui le truppe del presidente siriano Bashar al-Assad sono all’offensiva ovunque col proposito di riconquistare il territorio perduto durante i sette anni di guerra civile.

“Un completo ritiro del personale americano in questo momento”, ha sottolineato Tillerson, “permetterebbe ad Assad di perpetuare il suo brutale trattamento del suo stesso popolo”. “Il massacratore del suo stesso popolo”, ha aggiunto il segretario, “non può generare la fiducia richiesta per la stabilità a lungo termine”. La presenza americana vuole essere la garanzia per una “Siria stabile, unificata e indipendente”, ha evidenziato Tillerson, e ciò sarà possibile solo con l’uscita di scena di Assad.

La caduta della roccaforte siriana dello Stato islamico, Raqqa, lo scorso ottobre, ha inaugurato una stagione di estrema fluidità sul terreno. Gran parte della cosiddetta “Siria Utile”, che comprende le maggiori città e le zone coltivabili, è tornata sotto il controllo di Damasco. Nelle zone dove fino allo scorso ottobre imperava lo Stato islamico, a cavallo del fiume Eufrate, vi è invece una sostanziale divisione in sfere di influenza: a nord del fiume stazionano le Forze democratiche siriane composte in prevalenza dai curdi dell’YPG appoggiati dalle truppe americane, mentre dall’altra parte della riva si muovono le unità del regime di Damasco sostenute dall’aviazione russa e dai miliziani sciiti inquadrati dai Guardiani della Rivoluzione iraniana. Tra le due forze vige una sorta di tregua, benedetta dall’intesa tra il presidente americano Donald Trump e il suo collega russo Vladimir Putin. Ma è una situazione temporanea che il processo di pace onusiano di Ginevra, in parallelo a quello sponsorizzato da Mosca che dovrebbe riaprirsi tra pochi giorni a Sochi, è chiamata a districare con l’obiettivo di trovare una sistemazione definitiva.

Ma non è solo per dare una chance al negoziato e condizionarne gli esiti che l’America decide di prolungare la presenza militare in Siria. L’altro obiettivo è contenere l’influenza dell’Iran, vero dominus della situazione con le sue decine di migliaia di miliziani che, insieme all’air power di Mosca, sono stati decisivi nel ribaltare le sorti del conflitto in favore di Assad. “Il disimpegno dalla Siria”, ha sottolineato Tillerson, “darebbe l’opportunità all’Iran di rafforzare ulteriormente le sue posizioni in Siria”.

Impedire all’Iran di esercitare la supremazia sul Levante è l’obiettivo numero uno della strategia americana. L’Iran “cerca di dominare il Medio Oriente e vuole la distruzione del nostro alleato Israele”, ha precisato Tillerson. Per evitare che la Siria si trasformi in un protettorato iraniano, e possa quindi creare uno status quo sfavorevole ai paesi arabi oltre che ad Israele, è indispensabile l’uscita di scena di Assad. Cosa che gli americani cercheranno di assicurare rimanendo fermi sulle loro posizioni nel nord-est del paese e continuando a sostenere le forze curde. Anche a costo di far adirare il rais turco Recepp Tayyip Erdogan, che pochi giorni fa ha bollato come “esercito terrorista” le SDF dopo l’annuncio americano di voler addestrare le unità curde affinché possano operare come guardia di confine.

I propositi americani si scontrano naturalmente con le intenzioni della Russia. L’intervento di Mosca in Siria è stato concepito per puntellare il regime di Assad, che nel 2015 era sul punto di collassare. A due anni di distanza, la missione di Putin è compiuta: il regime ha ristabilito il controllo su gran parte del paese debellando quelle forze ribelli che si erano sollevate contro di lui nel 2011 e, negli anni successivi, gli avevano sottratto porzioni significative di territorio. Il presidente russo ora sta pensando alla fase successiva, ossia a far sedere regime e opposizioni sullo stesso tavolo per negoziare un accordo di pace. Al summit di Sochi dello scorso novembre, alla presenza di Erdogan e del presidente iraniano Hassan Rouhani, Putin ha illustrato i termini della sua iniziativa: convocazione di un congresso del popolo siriano, redazione di una nuova Costituzione e convocazione di nuove elezioni. Ma la road map russa si scontra con l’indisponibilità dei ribelli ad accettare che il raiss di Damasco rimanga in sella. Non è chiaro se, ai colloqui di pace di Sochi, i ribelli si presenteranno e, se lo faranno, faranno cadere questa pregiudiziale.

È per questo che Tillerson rilancia con la proposta di una Siria senza Assad. “L’uscita di scena di Assad”, ha ribadito il segretario, “creerà le condizioni per una pace duratura in Siria”.



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