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Vi spiego la balla delle troniste. Parla Ylenia Citino (FI)

Di Ylenia Citino

Ci hanno chiamato “veline”, “miss”, “troniste”, “letterine”. Hanno detto che siamo candidate “per motivi esclusivamente estetici”, che siamo state scoperte “grazie alla carriera televisiva”, che la politica ha bisogno di “volti nuovi”, selezionati tramite “casting”, utili ad andare in tv. Che queste elezioni del 2018, elezioni “pop”, celebreranno entusiasticamente il “ritorno di Forza Gnocca”.

E così è partita la controffensiva: una difesa a colpi di curriculum, che i poveri Di Maio e Di Battista avrebbero fatto bene a nascondersi sino al chetarsi delle acque. Nessun politico, o aspirante tale, credo sia mai stato delegittimato a tal punto dal doversi presentare agli elettori non con un programma o con delle idee ma come se andasse a un colloquio di lavoro. Eppure, va detto che il vero problema si annida al di sotto di questa coltre di triviali sentenze giornalistiche. Senza dover rispolverare la “femme au foyer” di Simone De Beauvoir, la tendenza tutta italiana a schernire l’affermazione femminile è un’appendice di un più grande temibile sentimento: l’insofferenza verso la rappresentanza politica.

Ebbene, questo diffuso malessere conduce non solo a dare carta bianca a movimenti irruenti, catalizzati dalla demagogica comicità grillina, ma induce altresì a revocare la delega data ai medesimi il giorno successivo, qualora (Raggi docet) la comicità si tramuti in insidiosa goffaggine. È giocoforza, in un simile contesto di avversione verso la politica, titillare la sensibilità degli elettori come nel caso di specie: in un momento cruciale quale è la compilazione delle liste, gli sforzi delle redazioni sono tutti intesi alla creazione, non senza forzature, di un turpe cosmo di raccomandati, paracadutati, condannati, impresentabili e veline. Per carità, non intendo dire che tutte le liste venute fuori dai partiti rappresentino il meglio di ciò che poteva esservi a disposizione. Ma lo sforzo mediatico nell’esacerbare o gonfiare i lati peggiori rema contro qualsiasi tentativo di oliatura dei meccanismi democratici, rendendo odiosi quei passaggi fondamentali dello stato di diritto conquistati a colpi di rivoluzioni.

La leggendaria Olympe de Gouges si rivolterebbe nella tomba se assistesse al trattamento speciale che viene gentilmente riservato alle nostre “fanciulle” in politica. Quelle forti riescono a sopravvivere, portandosi dietro tutta la vita le profonde cicatrici della loro femminilità. Le altre si tireranno gentilmente indietro, non senza essersi prima raccolte pudicamente i capelli o aver allungato di nuovo l’orlo delle gonne, lasciando la gestione della cosa pubblica ai grigi baveri del sesso opposto. Lo sa bene anche Anna Falcone, una cara amica che si batte per i diritti delle donne in politica, assieme a cui qualche anno fa svolsi attività didattica all’Università, prima che anche lei, come me, fosse candidata per queste elezioni.

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