Difficile rimanere con la penna in mano (in senso metaforico) quando, giorno dopo giorno, continui a leggere articoli in materia di gestione dei rifiuti. In una sola giornata di fine dicembre, ne ho contati tre: uno che faceva riferimento alla prossima invasione dei rifiuti urbani a Roma per Capodanno (Cronaca di Roma de Il Messaggero, uno che in prima pagina titolava “La grande monnezza” (Il Foglio) e il terzo che trattava della tutela dell’ambiente e che la stessa non deve trasformarsi in un alibi per la conservazione (Il Sole 24 Ore).
Mi è poi capitato tra le mani Internazionale e di leggere un articolo dal titolo “Il valore dei rifiuti” dove, tra le altre notizie, si riportava che l’area metropolitana di Tokyo conta 37 milioni di persone con 48 inceneritori. Ma sicuramente il caso di questi giorni in questa materia è quello di Roma, che manderà rifiuti urbani indifferenziati in Emilia Romagna per quaranta giorni circa (anzi, no. Forse in Abruzzo, tanto non siamo ancora in emergenza). A Roma mancano infatti impianti per la gestione dei rifiuti urbani e chissà per quanto tempo non ce ne saranno ancora di sufficienti.
In tutto questo va considerato che il governo italiano ha approvato, all’inizio di dicembre, una strategia nazionale sull’Economia Circolare, mentre, più a meno a metà dicembre, le istituzioni europee hanno raggiunto un accordo per il nuovo pacchetto per l’Economia Circolare, le cui parole d’ordine sono chiusura dei cicli con recupero e riciclo. Nella Legge di Stabilità per il 2018 è previsto un credito d’imposta per l’acquisto di prodotti riciclati da plastiche miste, salutata da molti come una grande innovazione. Concetti come quelli dell’autosufficienza nella gestione dei rifiuti, la prossimità e la limitazione della movimentazione dei rifiuti sono invece già ben noti e recepiti da tempo nella legislazione nazionale.
Intanto una città come Roma dipende dalla disponibilità di impianti extra regione per il recupero e lo smaltimento dei propri rifiuti solidi urbani. È del tutto evidente che, soprattutto, in alcune Regioni (il Lazio ad esempio e Roma in particolare) è mancata una pianificazione. Emilia Romagna e Lazio si trovano agli antipodi in termini di efficienza, ma sono meccanismi e schemi che possiamo ritrovare anche fra altri enti. La questione dominante in questi giorni in tema di rifiuti solidi urbani indifferenziati è sicuramente quella romana, ma accanto a questa va aggiunta quella degli scarti e dei rifiuti industriali prodotti dalle industrie che riciclano i rifiuti solidi urbani differenziati e cioè da un pezzo reale di “economia circolare”. È il caso dell’industria della carta.
La carta da riciclare proveniente dalla raccolta urbana, in Italia, costituisce il primo materiale in quantità (oltre 3 milioni di tonnellate nel 2015 su un totale di 6,3 milioni di tonnellate di carta raccolta) per l’industria cartaria con un tasso di riciclo dell’80 per cento nel settore dell’imballaggio. In Italia ogni minuto vengono riciclate 10 tonnellate di carta. Da questo processo di riciclo si genera uno scarto, minimo rispetto al rifiuto evitato grazie al riciclo della carta e per il quale c’è solo un impianto di termovalorizzazione dedicato, mentre un secondo impianto non viene utilizzato in maniera costante. Bloccare o rallentare il recupero degli scarti del riciclo, significa bloccare o rallentare il riciclo stesso.
Va considerato che nel settore sono stati annunciati nuovi investimenti. Si tratta di iniziative in grado di aumentare la circolarità del sistema Italia per quanto concerne i rifiuti cellulosici, in quanto a breve detti investimenti e riconversioni consentiranno di annullare in gran parte l’export di carta da riciclare pari ormai a 1,6 milioni di tonnellate all’anno. In presenza dei suddetti nuovi investimenti e riconversioni produttive, che andranno ad ampliare la capacità di riciclo cartario in Italia, la situazione può ulteriormente peggiorare. Il paradosso è che tali investimenti e riconversioni sono in linea con gli obiettivi dell’economia circolare e di uno sviluppo sostenibile in Italia nel rispetto della strategia comunitaria.
Per questo i senatori Scalia, Favero, Amati, Di Biagio, DallaTor, Moscardelli, Esposito, Fabbri, Laniece, Lucherini, Orellana, Spilabotte, Pezzopane, Mastrangeli, Borioli, DallaZuanna, Pagliari hanno presentato ai Ministri dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico una interrogazione parlamentare urgente per trovare una soluzione volta al recupero energetico dei rifiuti del processo di riciclo a cui si è aggiunta quella dell’onorevole Borghi della Camera dei Deputati.
Entrambi le interrogazioni sono vittime della conclusione della legislatura e destinate a rimanere senza risposta. Rimane però la questione ineludibile e cioè che, in assenza di qualsiasi azione, il rischio, sempre più concreto è che si blocchi la produzione quindi il riciclo della carta e conseguentemente la raccolta differenziata della carta su suolo pubblico e privato – per una quantità stimabile tra i 3 milioni e i 6,3 milioni di tonnellate. Ci vogliono politiche in grado di incrementare il recupero degli scarti del riciclo della carta per rafforzare le politiche di economia circolare nel rispetto delle best available technique (BAT) comunitarie di settore ed evitare contraccolpi sulle attività industriali di riciclo della carta.
È necessaria una “cabina di regia” a livello nazionale, con la partecipazione delle regioni e della Regione Emilia Romagna – di nuovo lei! – che presiede la Conferenza Stato Regioni, affinché possano essere individuate delle soluzioni transitorie con l’ottimale utilizzo degli impianti già in esercizio, nella prospettiva della messa a punto di ulteriori tecnologie per il recupero degli scarti del riciclo e di impianti adeguati sotto il profilo della scala industriale. Senza dimenticare che già oggi, secondo il Codice dell’Ambiente, i piani regionali sui rifiuti devono prevedere le iniziative volte a favorire il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero dai rifiuti di materiale ed energia, ivi incluso il recupero e lo smaltimento dei rifiuti che ne derivino.
Più che a incentivi fiscali (che in questo caso fanno riflettere pe il fatto di essere rivolte solo a certe plastiche miste e non ad altre, oltre ad essere esclusi completamente gli altri materiali) si deve puntare alle infrastrutture che garantiscono le corrette condizioni per competere anche sotto il profilo del riciclo e della corretta gestione degli scarti che provengono da quest’ultimo.
Non si può andare a (tutto?) gas, senza avere il gas nel tubo (ogni riferimento non è casuale).