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Ecco la nuova Strategia di difesa nazionale targata Donald Trump e James Mattis

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“Non è una strategia di scontro, ma una strategia che riconosce la realtà della competizione”. Così Elbridge A. Colby, deputy assistant del segretario alla Difesa degli Stati Uniti James Mattis, ha spiegato la National defense strategy (Nds) rilasciata oggi dal Pentagono.

I competitor hanno nome e cognome, Russia e Cina, da contrastare nel loro tentativo di rivedere le dinamiche internazionali con maggiore deterrenza e rafforzamento delle alleanze tradizionali, Nato in testa. È questo il messaggio principale del documento, pubblicato in una piccola parte (14 pagine) data la classificazione della strategia complessiva.

LA STRUTTURA E IL RUOLO DI MATTIS

Il documento, seppur nella sua versione ridotta, appare ben strutturato. Alla descrizione dell’ambiente di sicurezza (denso di minacce in rapida evoluzione), segue l’indicazione degli obiettivi del dipartimento della Difesa e poi l’approccio strategico da perseguire. Quest’ultimo si compone di tre elementi che rappresentano la struttura della nuova politica di difesa Usa: costruire una forza più letale, rafforzare le alleanza e attrarre nuovi partner, riformare il dipartimento per maggiori performance e affidabilità. Considerando la sua classificazione e il fatto che sia figlia indiscussa del generale Mattis, ritenuto tra i membri più stabili dell’amministrazione (capace tra l’altro di mettere toppe in più occasioni alle esternazioni colorite del presidente) la Strategia ha un valore ancora più rilevante, anche perché depurata da quegli aspetti propagandistici che caratterizzano, qua e là, la Strategia di sicurezza nazionale che Donald Trump ha presentato prima di Natale. “Questa strategia – scrive Mattis – afferma il mio intento di perseguire un urgente cambiamento su scala significativa”.

IL CONFRONTO CON CINA E RUSSIA

L’obiettivo principale, ha spiegato Colby, è contrastare “l’erosione del vantaggio militare statunitense vis-a-vis Cina e Russia”. Le due potenze rivali, ha aggiunto, “potrebbero minare fondamentalmente la nostra capacità di evitare aggressione e coercizione mettendo in pericolo l’ordine libero e aperto che cerchiamo di assicurare tramite la costellazione di alleanza”. L’azione di Pechino e Mosca minerebbe gli interessi Usa in tre scenari principali: Europa, quadrante indo-pacifico, e Medio Oriente. Cina e Russia “sono andare a scuola”, ha detto Colby. Hanno studiato l’American way of war spendendo gli ultimi 25 anni a cercare un modo per privare gli Stati Uniti del vantaggio militare, consistente nella “capacità di dispiegare forze ovunque nel mondo e di supportarle”, ha spiegato ancora il funzionario.

Come notano gli esperti, proprio l’identificazione dei due avversari rappresenta il maggiore cambiamento rispetto alla postura di difesa definita da Obama, che aveva invece posto il terrorismo internazionale al primo posto delle minacce da contrastare. Nel nuovo documento (la prima Nds degli ultimi dieci anni) il terrorismo viene invece citato dopo Corea del Nord e Iran, che seguono Cina e Russia nell’ordine delle sfide alla sicurezza americana.

NUOVE CAPACITÀ E ALLEANZE PIU’ FORTI

Il contrasto a queste minacce richiede una forza “più agile e letale”. Si tratta di un generale processo di modernizzazione che prevede, ha spiegato Colby, di superare il “modello Desert Storm” per passare a tecnologie e concetti operativi nuovi che permettano “il mantenimento del potere in ogni dominio”.

Il secondo step è il rafforzamento delle alleanze. In questo senso, il primo contesto ad essere citato nell’Executive summary (e già questo è indicativo circa gli scenari prioritari) è quello indio-pacifico, per cui si pone come obiettivo l’espansione di partnership per assicurare stabilità e deterrenza nei confronti delle aspirazioni (si legge tra le righe) della Cina. C’è poi la Nato: “Un’Europa forte e libera, fondata su principi condivisi di democrazia, sovranità nazionale e impegno all’articolo 5 del Trattato del Nord atlantico è vitale per la nostra sicurezza”, si legge. In tale senso, l’obiettivo è ben specificato: “Applicare deterrenza all’avventurismo russo, sconfiggere il terrorismo e affrontare l’arco di instabilità che sta crescendo nella periferia”. Certo, come nell’Nss, non manca il richiamo agli alleati per un più equo burden sharing: “Ci aspettiamo che gli alleati europei rispetti l’impegno ad aumentare le spese per la difesa e la modernizzazione”.

LA RIFORMA DEL PENTAGONO

L’ultima parte del documento è dedicata alla riforma del Pentagono, tesa ad accelerare i processi decisionali e snellire le pratiche burocratiche e assicurare una maggiore efficienza nella gestione del budget. “L’attuale approccio burocratico – si legge nell’Nds – incentrato prima di ogni altra cosa su rigorosa accuratezza e minimizzazione del rischio si sta rivelando sempre più inadatto”. Perciò, si prevede il passaggio a una “cultura della performance in cui contano risultati e responsabilità”. Si prevede dunque l’eliminazione di duplicazioni e la maggiore integrazione tra i diversi uffici. Tutto questo passa però anche dalla “protezione della National Security Innovation base”. Il Pentagono, promette la Strategia, “con il supporto del Congresso fornirà all’industria della difesa (partner tradizionali e nuovi) una sufficiente prevedibilità circa gli investimenti di lungo termine” relativi a “capacità, infrastrutture, ricerca e sviluppo”.

SI È SCIOLTO IL NODO DEL BUDGET?

Come anticipato su queste colonne, le maggiori incertezza riguardano l’attuale assenza di una chiara definizione del budget per la Difesa. I 700 miliardi voluti da Trump aspettano un ultimo via libero del Congresso che intanto, proprio oggi, è chiamato a decidere sull’intero bilancio federale non senza un certo timore di shutdown (il blocco delle attività amministrative). Colby ha risposto anche a queste incertezza: “La leadership era chiaramente consapevole nel dire che dovevamo avere una Strategia che fosse davvero tale per poter poi guidare il budget“.

LE PROSSIME STRATEGIE AMERICANE

Il documento segue la National security strategy (Nss), e verrà seguita nei prossimi mesi dalla National Military Strategy (Nms) che spetta invece al capo di Stato maggiore della Difesa Joe Dunford. A seguire, verrà rilasciata anche la Nuclear posture review (Npr). La scorsa settimana l’Huffington post ha pubblicato una bozza del documento, a cui non è seguita una smentita da parte del Pentagono. Secondo le indiscrezioni, l’intenzione del dipartimento della Difesa in merito all’arsenale nucleare è di perseguire un generale rinnovamento, puntando soprattutto su testate più piccole da montare sia su missili da crociera, sia su missili balistici tattici, a corto raggio. Ciò risponde a una doppia esigenza. Primo, adattare la forza nucleare a minacce regionali e a ipotesi di utilizzo in teatri circoscritti, come nel caso dell’ormai noto bloody nose per la Corea del Nord (un attacco preciso, immediato e sorprendente a un’infrastruttura strategia). Secondo, aumentare il potenziale di deterrenza. Avere a disposizione testate più piccole, meno distruttive e più imprevedibili (anche perché l’intenzione è di potenziare la forza sottomarina) rende la minaccia del loro utilizzo più credibile. Certo, ciò presuppone una revisione dottrinale sui casi in cui ricorrere all’utilizzo di queste armi, pensate probabilmente anche per la risposta ad attacchi e minacce condotti con armi convenzionali.

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