Dopo le continue accuse del mondo tradizionalista a Papa Francesco la novità, emersa nelle ultime ore, è che gli stessi attacchi hanno adesso intrapreso una nuova e inaspettata direzione, rivolta a Benedetto XVI, fino a quel momento utilizzato come bandiera di riferimento di quell’universo di filosofi e teologi che si dichiarano “difensori della tradizione” e avversari della “dittatura del relativismo”, espressione cui Ratzinger ha fatto spesso riferimento durante il suo pontificato.
IL LIBRO DI RADAELLI CHE ATTACCA L’INTERO PENSIERO DI RATZINGER
Le critiche vengono espresse in un testo scritto dal teologo Enrico Maria Radaelli e intitolato “Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo”, pubblicato da Aurea Domus, editrice di cui lo stesso Radaelli è titolare. Nel libro, come si legge sullo stesso sito in cui viene diffuso, l’autore “si propone di controbattere uno per uno” gli insegnamenti “dell’antico professore di Tubinga Joseph Ratzinger”, “a partire dal suo metodo storicistico”, che “ritiene profondamente erronei, pericolosi per la fede come solo una sintesi delle dottrine moderniste”. In particolare, la critica formulata nella pubblicazione è rivolta a uno dei testi di riferimento di Ratzinger, “Introduzione al cristianesimo”, raccolta di lezioni tenute nel ’68 dall’allora professore di teologia all’università di Tubinga, che ebbe fin da subito una notevole diffusione su scala internazionale.
Non bastasse, lo scrittore chiede addirittura allo stesso Ratzinger, indicato non più come papa emerito ma come “di nuovo Cardinale”, di “ripudiare pubblicamente, al più presto e in toto il libro e tutti i concetti impropri che ne infettano le pagine, prima che, per lui s’intende, sia troppo tardi”. Tutto questo per dimostrare, “al più largo numero di lettori raggiungibili”, “l’essere false e fuorvianti una per una e tutt’insieme le dottrine insegnate”. All’attacco diretto del professor Radaelli si è poi aggiunto anche quello di Antonio Livi, teologo e docente della Lateranense, il cui nome figura già tra l’elenco dei firmatari dell’accusa di eresia al Papa, scrivendo la prefazione del volume in questione (qui il testo intero della prefazione di Livi e qui l’articolo di Formiche.net sui firmatari della Correzione filiale).
QUALI SONO LE ACCUSE DEL TEOLOGO ANTONIO LIVI A BENEDETTO XVI
Livi in sostanza afferma che, oltre a ritenere “indispensabili” le “dimostrazioni” espresse da Radaelli, “l’egemonia (prima di fatto e poi di diritto) della teologia progressista nelle strutture di magistero e di governo della Chiesa cattolica si deve anche e forse soprattutto agli insegnamenti di Joseph Ratzinger professore, che mai sono stati negati e nemmeno superati da Joseph Ratzinger vescovo, cardinale e papa”. Una “teologia di stampo immanentistico, nella quale tutti i termini tradizionali del dogma cattolico restano linguisticamente inalterati ma la loro comprensione è cambiata”, giudica Livi. Dove per di più vengono “messi da parte, perché ritenuti oggi incomprensibili, gli schemi concettuali propri della Scrittura, dei Padri e del Magistero”, e “i dogmi della fede sono re-interpretati con gli schemi concettuali propri del soggettivismo moderno”.
Tutto ciò “perché ormai il fondamento dell’atto di fede non è più, come insegnava il Vaticano I, l’autorità di Dio”, ma al contrario “l’uomo stesso, il quale ha voluto costruirsi un’idea di Dio che soddisfi le proprie esigenze spirituali”. Idea, conclude, “inevitabilmente incerta e problematica”, e che si ritrova tanto negli scritti di Carlo Maria Martini quanto in quelli di Gianni Vattimo. Una “nozione sostanzialmente scettica della fede nella Rivelazione”, e allo stesso tempo proprio “ciò che, secondo Ratzinger, consente alla teologia un proficuo confronto con la filosofia e con la scienza di oggi, concedendo esplicitamente ad esse il presupposto epistemologico dell’impossibilità della conoscenza razionale di Dio e della legge morale naturale”. Un concetto, quindi, di “fede debole”, sintetizzata nel termine utilizzato da Livi di “eresie al potere”, e che ha in definitiva le sue radici nella “svolta dell’ecclesiologia” avvalorata da Paolo VI durante il Concilio Vaticano II, sulla base dell’idea “di una comune religione dell’uomo”.
“LA DIMOSTRAZIONE CHE GLI ATTACCHI NON SONO A FRANCESCO MA AL CONCILIO”
Un libro tuttavia che in questo modo, spiega su La Stampa il vaticanista Andrea Tornielli, dimostra la tesi espressa in precedenza dal filosofo Rocco Buttiglione, in cui sostiene che “all’origine di molte critiche dottrinali contro l’attuale pontefice c’è un’opposizione anche ai suoi predecessori e in ultima analisi al Concilio”. Ovvero che le critiche espresse all’attuale pontefice in realtà non sono una novità legata soltanto alla figura di Bergoglio, ma affondano invece le loro convinzioni indietro negli anni. In quanto cioè i principali propagatori delle accuse a Papa Francesco, in realtà, sostengono che “la deviazione della Chiesa inizia con Leone XIII e con l’enciclica Au milieu des sollicitudes”, testo con il quale l’allora pontefice avrebbe “tradito l’alleanza del trono e dell’altare, e rinunciato al principio del diritto divino dei re”, spiegava Buttiglione nell’intervista.
D’altronde, le posizioni espresse da molti degli esponenti legati al mondo cattolico-tradizionalista risultano ben chiare ed evidenti nel momento in cui si scorrono le pagine di molti dei loro siti di riferimento, dove viene affermata con certezza la propria identità di “preconciliari”. Radaelli poi, specifica il vaticanista de La Stampa, è “allievo e interprete di Romano Amerio, l’autore del libro “Iota Unum. Studio delle variazioni della Chiesa Cattolica nel secolo XX”, nel quale si sosteneva la presenza del “modernismo teologico” nella costituzione conciliare Gaudium et spes e in altri testi del Vaticano II”. Anzi, ne è “il più fedele discepolo”, scrive Sandro Magister nel suo blog su L’Espresso, precisando che quella del “filosofo svizzero” è “la più sistematica e argomentata accusa contro la Chiesa cattolica della seconda metà del Novecento di aver sovvertito i fondamenti della dottrina in nome del soggettivismo moderno”.
INTROVIGNE: “DAL TESTO SI CAPISCE L’IDEOLOGIA DELLE CAMPAGNE CONTRO FRANCESCO”
A chiarire la vicenda è così anche il sociologo Massimo Introvigne, fondatore e direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni, attraverso il suo account Facebook. “Interessante intervento di don Antonio Livi, che è il vero maître à penser di chi gestisce la Bussola e altre pubblicazioni ostili a Papa Francesco, dove si accusa di eresia anche Benedetto XVI – e pure Giovanni Paolo II non se la passa troppo bene, soprattutto perché era troppo amico degli ebrei”, scrive con tono sarcastico Introvigne.
“Un testo molto, molto importante per capire l’ideologia soggiacente alle campagne contro Papa Francesco, i cui teorici più influenti – che non sono necessariamente quelli che appaiono più spesso – non sono affatto nostalgici di Benedetto XVI ma accusano di eresia globalmente tutti i Papi post-conciliari (alcuni di loro, per la verità, non amano neppure Pio XI e Pio XII, per cui l’ultimo Papa “sicuro” sarebbe stato Pio X, che veniva peraltro dopo un altro Pontefice di cui diffidano, Leone XIII). Come mi è capitato di scrivere altre volte, questi sono i veri leder della rivolta contro Francesco e gli ingenui che rimpiangono Benedetto XVI sono solo carne da cannone per battaglie di cui non conoscono i generali”.
COSA HA SCRITTO NEI GIORNI PRECEDENTI RATZINGER AL CARDINALE MÜLLER
Soltanto la scorsa settimana, pochi giorni prima di Natale, era stata diffusa la prefazione dello stesso Ratzinger al volume, intitolato “Il Dio Trino. Fede cristiana nell’era secolare”, pubblicato in Germania in occasione dei 70 anni del cardinale tedesco Gerhard Müller, l’ex prefetto della Congregazione della Dottrina della fede il cui incarico non è stato rinnovato da Papa Francesco, fatto che creò polemiche tra i “sostenitori” del porporato (sul blog di Magister il testo intero in tedesco dello scritto di Ratzinger, con la relativa traduzione in italiano).
Nell’introduzione dell’opera, Ratzinger loda quanto compiuto da Müller, dicendogli: “Hai difeso le chiare tradizioni della fede, ma nello spirito di papa Francesco hai anche cercato di capire come possano essere vissute oggi”. In quello, di capo dell’ex sant’Uffizio, che è un ruolo “in cui la saggezza non è data solo dalla competenza nella materia, ma anche dal riconoscere il limite di questa conoscenza teologica”. Spiegando poi che “Müller ha trascorso i suoi anni a Roma proprio cercando di fare questo”. E ricordando un testo redatto dal porporato, e donato allo stesso Ratzinger nel 1995, come un “segnale incoraggiante” del fatto che “anche nella generazione dei teologi postconciliari ci fossero pensatori che hanno il coraggio di impegnarsi per l’integralità, cioè per rappresentare la fede della Chiesa come unità e totalità”. Perché “anche se è importante la ricerca dettagliata, non meno importante è che la fede della Chiesa appaia nella sua unità interiore e nella sua completezza e che quindi diventi visibile anche tutta la semplicità della fede, nonostante tutte le complesse riflessioni teologiche”.
COSA DICEVA NEI GIORNI PRECEDENTI MÜLLER SUI DUBIA E LA LETTURA DI BUTTIGLIONE
Non a caso proprio in quegli stessi giorni John Allen, il decano dei vaticanisti americani e fondatore del portale americano di informazione cattolica Crux, intervistato da La Stampa per commentare il discorso di Francesco alla Curia, spiegava che “il Papa ha trovato gli stessi ostacoli di Ratzinger”, e che “il riflesso della frustrazione” emersa dal suo discorso è data da una “situazione assai complessa”, dove “i vescovi in Vaticano contrari alla linea teologica e politica di questo Papa” sono “cosa separata dall’opposizione alle riforme della Santa Sede, dei sistemi finanziari e del management”. In quanto molti “vescovi americani contrari ad Amoris Laetitia sono “anche i più favorevoli al progetto di riforma della Curia, soprattutto quella finanziaria”.
Il 30 dicembre è stato infine lo stesso Müller, dopo il commento a lui dedicato da Ratzinger, ad affermare, sempre al quotidiano diretto da Maurizio Molinari, che “il libro di Buttiglione ha dissipato i dubia dei cardinali”. “Nella visione cattolica la coscienza del singolo, i comandamenti di Dio e la autorità della Chiesa non stanno isolati l’uno davanti all’altro ma stanno l’uno con l’altro in una connessione interna attentamente calibrata. Questo esclude sia un legalismo come anche un individualismo autoreferenziale”, ha affermato nell’intervista il cardinale tedesco, parlando del tema dei sacramenti ai divorziati risposati, punto centrale delle accuse del mondo tradizionalista a Papa Francesco.
MÜLLER: “IN TEDESCO SI DICE CHI VUOLE METTERE PACE PRENDE LE BOTTE DA TUTTE LE PARTI”
Attacchi reiterati, di cui l’ultima notizia, diffusa da alcuni siti legati al mondo tradizionalista, è l’adesione di tre vescovi del Kazakistan. E in seguito, anche di due italiani: l’ex arcivescovo di Ferrara-Comacchio mons. Luigi Negri e l’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America mons. Carlo Maria Viganò.
“In tedesco c’è un modo di dire: chi vuole mettere pace prende le botte da tutte e due le parti. Credo però che dobbiamo accettare questo rischio per amore alla verità del Vangelo e all’unità della Chiesa”, ha detto infine Müller nell’intervista, sdrammatizzando, e spiegando che “in tutte le mie prese di posizione, che mi sono state richieste da molte parti, io ho sempre cercato di superare le polarizzazioni ed un modo di pensare per campi contrapposti”. “Adesso però non dobbiamo perdere tempo con la questione del modo in cui siamo entrati in questa situazione piena di tensioni, ma concentrarci piuttosto sul modo in cui ne usciamo”, ha aggiunto: “Abbiamo bisogno di più fiducia e più attenzione benevola gli uni per gli altri. Da cristiani non dobbiamo mai dubitare della buona volontà dei nostri fratelli”. Poi l’attacco a Benedetto XVI.