“Quando la politica fa religione, evidentemente i primi persecutori diventano i governi. Si sta in genere sempre attenti nel dire che la Chiesa non deve fare politica. Ma la Chiesa potrebbe dire che i governi non devono fare religione: per esempio quando si tratta di questioni morali. Certe questioni tipiche, come il rispetto alla vita, fanno parte della coscienza delle persone. E quindi se i governi entrano in questi discorsi, non limitandosi a regolarizzare alcune situazioni, esorbitano dalla loro competenza”.
Il cardinale Mauro Piacenza, presidente della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (ACs), è tanto mite quanto inflessibile nel descrivere le principali cause di persecuzione religiosa nel mondo, e nell’approfondire come nascono e si articolano le oppressioni dei cristiani all’interno dei diversi Paesi i cui vi sono maggiormente esposti, e in cui ogni santo giorno rischiano la vita. Ma le persecuzioni visibili non sono le uniche che devono subire, spiega il prelato: perché ve ne sono altre di più sottili, e che incidono in profondità nell’esistenza delle persone. Come ad esempio nella libertà di professare la propria fede.
“I fatti morali sono legati alla coscienza delle persone. E la coscienza del cristiano e del cattolico non può essere totalmente sciolta dal magistero della Chiesa. Perché per essere libero, come cattolico, devo poter conoscere la dottrina cristiana. Altrimenti non sono libero, ma assorbo semplicemente delle opinioni. Che non sono il cristianesimo e non sono la Chiesa: di opinioni ognuno può avere le sue. Ma se sono cattolico devo stare a una tavola di fondazione: esiste la divina rivelazione, la tradizione della Chiesa, il magistero continuato e ininterrotto, e infine esiste il sensus fidei dei singoli fedeli, che molto spesso salvano noi pastori quando diventiamo matti”.
Sono tredici i Paesi messi in elenco da ACs dove i cristiani sono oggetto di persecuzioni. Almeno in maniera ufficiale. Perché il tema del cristianesimo nella società che cambia, che si pretende sempre più secolarizzata, impone una riflessione ampia, libera da paraocchi. Per affrontare problemi che tutti vediamo, ma che molti si rifiutano di comprendere. “Il cristianesimo è l’unica forza al mondo che abbia come bandiera la verità e la libertà”, affonda Piacenza. Perché “è nel discorso della verità che si innesta quello della libertà”.
“La verità è la libertà, e la diversità della verità cristiana è che non è imposta a nessuno. Perché un conto è imporla con la sciabola, o con la persecuzione anche mediatica, un altro è chiedere un atto di fede libero. E l’atto di fede cristiano è un atto libero: se non c’è la libertà non c’è la nostra fede”. Stando alla larga da riferimenti nazionali o religiosi ben precisi, ma che tuttavia sembrano abbastanza chiari e evidenti, il cardinale non si risparmia dal mettere il dito nella piaga del problema. Anche perché è assodato che ci sono un certo numero di Paesi, come ogni anno puntualmente il catalogo di ACs riporta, in cui questa libertà, nella fattispecie religiosa, non c’è.
“La discriminazione è il primo atto, che non è ancora esternamente violento, ma che è più un giudizio sulle persone. Però da lì si arriva all’intolleranza, come con gli ebrei prima dell’Olocausto: si è partiti da una campagna denigratoria, da un sussurro sul loro presunto potere finanziario. Poi sulla loro razza. Tutto per fare montare la diffidenza della gente, partendo dalla scuola, poi nella società, nelle manifestazioni artistiche. Fino ad arrivare alla bomba finale, quella dell’odio clamoroso, violento e bestiale. Si comincia così, prima con un sollievo all’opinione pubblica, poi infiltrandosi nei media e nelle istituzioni. La documentazione di ACs lo mostra ogni anno e in modo cruento”.
Mentre nelle nazioni dove questo non arriva a finalizzarsi in maniera così esplicita si agisce in “guanti bianchi”, ovvero non c’è una persecuzione dell’autorità politica e dello Stato in quanto tale. “Tante riverenze, prese di distanza, ma alla fine la realtà è differente”. Spesso il metro di giudizio diventa il tolleramento della violenza, il lasciare agire indisturbati. “Le inchieste si aprono ma poi si insabbia tutto subito. È una persecuzione anche questa, anche se con le mani pulite dal sangue. Forse sono ancora più criminali rispetto a compie l’atto: perché sanno dove vogliono arrivare”.
Poi però c’è un altro tipo di persecuzione, di emarginazione. “Noi non possiamo dire di essere perseguitati in Europa, in Canada, negli Stati Uniti”, affonda il cardinale senza mezzi termini. “Come facciamo a dirlo? Certo, non lo vediamo esternamente. Ma lo vediamo nelle gestioni dei media, negli eventi, nella montatura di scandali che, quando ci sono, sono deprecabili, ma che spesso si accompagnano anche a fatti gonfiati, che però, nel momento in cui si rivelano falsi, tutti tacciono. E piano piano, tutto concorre a dare un senso negativo”.
E poi “le prese in giro, le casistiche esagerate, la deprecazione delle posizioni cattoliche, partendo da un singolo particolare senza però considerare che tutta la cultura veramente cristiana si china sempre sulla persona che ha bisogno e che è nella disperazione. E che questo è nel Dna dell’educazione cristiana”, anche se quest’idea non è “à la page”. Da qui, il cardinale passa perciò al tema della convivenza pacifica tra culture e religioni diverse in uno stesso territorio. Che è possibile, spiega. “Basta osservare la legge naturale, che però è diventata un ping pong e una campo da bocce”, mentre al contrario è un “fondamento del dialogo”. “A volte ci si riempie la bocca di dialogo mentre invece si è di una intolleranza assoluta”.
Per esempio nei Paesi in cui “si ucciderebbe uno che dice di non essere dialogante. E allora dove va il dialogo? Significa che qualcosa non funziona nella convivenza”. A cui però un cristiano è tenuto sempre a mirare, prosegue. “Non si può mai avere una vera mitezza se non si hanno le idee chiare sulla verità. Però si tratta di porgerla e di saperla porgere, non solo con le parole rispettose di chi la pensa in modo opposto, ma con la testimonianza della vita”. Quindi il tema della santità, che “per noi è fondamentale, alla base di tutto, come la fede. Perché è disciplina di sé stessi. Quando c’è questo, c’è civiltà, evidentemente”.
Il rispetto dei diritti fondamentali, quello indicato nella dichiarazione dell’Onu del ’48 l’Onu, resta tuttavia “la base del dialogo con gli altri”. Tanto per la Chiesa quanto nello specifico per ACs, spiega Piacenza: perché è “una carta scritta, sottoscritta e disattesa continuamente, ma per questo motivo ci dobbiamo sentire ancora più impegnati nel saperla rispettare”. E poi c’è il Concilio Vaticano II, e “tutto quanto ha detto sulla libertà religiosa, che è da leggersi in ginocchio, perché opera dello Spirito santo”.
In Iraq in particolare ACs lavora in qualità di cristiani, quindi sia cattolici che ortodossi. Fatto che ha una valenza di testimonianza ecumenica “molto importante”, indica il cardinale. In cui cioè “ogni entità cristiana diventa elemento fraterno di collaborazione”. “In Iraq si è fatto moltissimo, e in Siria si sta facendo, soprattutto finalizzandosi al ritorno dei cristiani in queste terre, che sono bibliche, e dove noi abbiamo delle radici”. E dove “ci sono sempre stati” e hanno sempre “convissuto pacificamente” cristiani e musulmani, per questo “dobbiamo aiutarli a ritornare”. Qualche passo è stato fatto, spiega. “Ricostruendo case, chiese, luoghi di culto, luoghi di formazione, e anche un tessuto socio-economico che riesca a essere di incentivo per i piccoli imprenditori e gli artigiani”.
Nel 2016 ad esempio, visto che in Siria si combatteva ancora, solo l’uno per cento di coloro che erano scappati si dichiaravano interessati a valutare l’ipotesi di un ritorno. “Ecco, adesso abbiamo superato il 50 per cento”, afferma il porporato. Tuttavia, resta il fatto che “oggi ci sono molte più persecuzioni di quante ce ne fossero nei primi tempi della Chiesa”. E senza distinguere troppo tra le piazze del Medio Oriente, e dei Paesi in guerra, e quelle del ricco e sviluppato Occidente. “Abbiamo una responsabilità enorme. Ci vorrebbe una campagna di preghiera e di rievangelizzazione, altro che tavole rotonde: testimonianza, preghiera, catechismo, opere di carità, di misericordia corporale e spirituale”.
Mentre invece che fanno i cristiani, troppo spesso imbevuti di quella “tiepidità” che Papa Francesco non si stanca mai di denunciare duramente dall’altare di santa Marta, spiegando che impedisce di guardare alle “cose grandi e belle di Dio”, e la cui “tranquillità inganna”? “Mercanteggiamo”, replica il cardinale. “Così come per tutte le beghe all’interno della Chiesa: tempo perso per l’evangelizzazione. Dovremmo rimboccarci le maniche e soprattutto consumarci le ginocchia. Dovremmo conoscere di nuovo la parola penitenza, che non è una parola triste, ma piena d’amore”.