Mentre i suoi lo acclamano al grido “mandiamoli a casa”, lui si appella al “governo di convergenza”. È in questa linea doppia, di lotta e di governo come nella più radicata tradizione italiana, che si iscrive il tentativo di Luigi Di Maio di consolidare quello che si annuncia come un possibile clamoroso successo elettorale. La salita al Quirinale per incontrare il segretario generale, ovvero la persona più rilevante dopo il Presidente, può essere letta anche come una scelta “sgrammaticata” ma in verità rivela una strategia chiara e coerente da parte del leader del Movimento 5 Stelle.
Da diversi mesi infatti la formazione politica “inventata” da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio aveva imboccato la via della istituzionalizzazione al fine di conquistare il governo del Paese. È stato un cambio di paradigma enorme che i partiti ed i media italiani non hanno colto o hanno profondamente sottovalutato. Il passaggio dello scettro nelle mani di Di Maio ha completato il quadro e lo ha reso definitivamente esplicito. Nonostante una legge elettorale che è stata fatta per penalizzarlo, il Movimento corre – speditamente nonostante le polemiche (che in verità lo rafforzano) – verso Palazzo Chigi ed ogni mossa del giovanissimo leader di Pomigliano è pensata ed attuata per questo risultato. Sulla squadra di governo, come prima sui candidati, si sta creando un clima di suspence.
Ci sarà classe dirigente seria e credibile? È evidente che qui si registra la difficoltà maggiore. La diffidenza fra Movimento ed élite del Paese è molto diminuita ma resta, e reciproca. Il processo di normalizzazione – considerato il dato di partenza del Vaffa Day – è lento e contraddittorio. Qualche passo falso è stato commesso ma ciò che i giornaloni fanno fatica a comprendere è il cambio di pelle c’è e si nota tanto più quanto Berlusconi e Renzi appaiono arroccati nel tenersi stretti la loro cerchia di amici e collaboratori. Il centrodestra in particolare non è decollato nei sondaggi come lo sforzo comunicativo del Cavaliere avrebbe meritato (davvero straordinario, chapeau) proprio perché non ha trasmesso l’idea di un rinnovamento dei suoi generali e colonnelli. Su questo, non è da sottovalutare, Di Maio ha buon gioco a vendersi le sue novità. I tempi sono stretti e il leader del Movimento viaggia ad una velocità altissima e quindi il rischio di fidarsi delle persone sbagliate è particolarmente elevato. Il gioco, per lui, vale però la candela.
Palazzo Chigi sarà quindi a Cinque Stelle? È obiettivamente improbabile che il Movimento conquisti la maggioranza dei seggi parlamentari ma deve essere chiaro che realisticamente nessun governo si potrà formare senza la partecipazione dei grillini. Sempre che il centrodestra non riuscirà nell’obiettivo di avere un congruo numero di deputati e senatori tale da garantirgli l’autosufficienza o comunque da avvicinarsi sensibilmente al traguardo, con soli 10 o 20 seggi in meno. Ecco perché questi ultimi giorni di campagna elettorale si confermano come una sorta di ballottaggio fra Di Maio e Berlusconi, tutto focalizzato ormai nelle regioni meridionali. Ogni punto e ogni collegio strappato all’avversario vale più che doppio. E se il capo di Forza Italia non riuscirà nel “miracolo”, ci sarà poco da scherzare. Di Maio le scale del Quirinale sarà destinato a salirle con una discreta frequenza. Il “governo di convergenza” forse non manderà a casa i vecchi partiti ma consentirà al Movimento di entrare in casa da titolare.