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Ecco perché la comuntà intelligence Usa storce il naso sui briefing non scritti chiesti da Trump

Trump, Cina, naso sanguinante, congresso

Nel corso di un recente intervento all’American Enterprise Institute di Washington DC il direttore della CIA, Mike Pompeo, è stato molto chiaro nel descrivere l’approccio di Donald Trump ai briefing mattutini che quotidianamente dovrebbero essere tenuti alla Casa Bianca per fare il punto sui temi più sensibili per la sicurezza nazionale: “A seconda delle questioni emergenti, i briefing si tengono mediamente ogni due giorni ma in caso di necessità i ritmi sono immediatamente intensificati ed il presidente regge alla perfezione le accelerazioni”.

In quella occasione e nei giorni successivi la stampa americana è tornata più volte sul tema della qualità del rapporto tra il presidente degli Stati Uniti e la comunità intelligence, un rapporto reso complicato in partenza proprio a causa della presupposta riluttanza da parte del tycoon di New York a sottoporsi a lunghi e complessi meeting durante i quali analizzare documenti coperti dalle più alte classifiche di segretezza. La domanda che tutti si pongono e che rimbalza proprio in queste ore sulle pagine del Washington Post è relativa, specificamente, alle disposizioni che Trump avrebbe dato, secondo fonti interne alla Casa Bianca, sul modo in cui tenere i briefing in questione: solo confronti a voce, riduzione al minimo dei documenti cartacei, video e audio se necessario. Il messaggio che si cerca di far passare vedrebbe un Trump poco incline a confrontarsi con il linguaggio criptico degli analisti e con i report indirizzati al decisione politico, secondo i canoni tradizionali del ciclo intelligence. La questione è particolarmente complessa e tocca vari ambiti di riflessione.

Se sul punto i frequentatori più assidui dello Studio Ovale non si esprimono, vi sono osservatori che considerano il dato come una conferma tacita dei rumors di queste ore. Certamente una presa di posizione del National Security Advisor, H.R. McMaster, potrebbe fugare ogni dubbio. Come affermato dallo stesso Pompeo, McMaster è sempre presente ai briefing e segue attentamente il rapporto di Trump con la comunità intelligence. Allo stesso tempo, il direttore della CIA in più occasioni ha offerto commenti compiaciuti sul rapporto con la Casa Bianca ma non sono passate inosservate alcune circostanze che avrebbero infastidito non poco i vertici dell’agenzia di spionaggio.

Come segnalato da Formiche.net, uno dei nodi più spinosi riguarderebbe il rilascio delle abilitazioni di sicurezza necessarie ad accedere ai materiali coperti da classifiche di segretezza e – tra questi – ai President’s Daily Briefings (PDBs). La questione è diventata calda quando la stampa ha scoperto che sarebbero passati mesi prima di chiudere il processo di abilitazione di alcuni collaboratori/familiari di Trump, tra cui Jared Kushner. Le indiscrezioni sul genero del presidente si sarebbero portate dietro un’altra manifestazione di insofferenza da parte della comunità intelligence: mentre Trump non vuole saperne di leggere i PDBs vi sarebbe un numero “troppo alto” di collaboratori che ogni giorno ricevono sulla propria casella di posta elettronica il formato digitale del briefing. Una circostanza senza precedenti e che potrebbe mettere a rischio le informazioni raccolte con grande sforzo dalla CIA e dalle altre agenzie. Sul punto anche McMaster avrebbe avanzato dei dubbi e la situazione ha creato non pochi malumori.

Una delle regole fondamentali per le agenzie che raccolgono informazioni è, infatti, la ciclicità del processo, che vede nel decisore politico il punto finale e al contempo il momento di inizio di un percorso che non dovrebbe mai essere interrotto. Il presidente degli Stati Uniti, nel caso di specie, dovrebbe ricevere il prodotto intelligence, il report cartaceo, e sulla base del suo fabbisogno informativo alimentare con nuove richieste il processo di ricerca, raccolta e analisi. Se tutto ciò non avviene per la supposta riluttanza del diretto interessato e per di più si aggiungono complicanze relative a soggetti terzi che entrano alla buona nel processo, si rischia di inficiare la qualità del lavoro della comunità intelligence. Una situazione, qualora confermata, troppo grave e difficilmente tollerabile dai diretti interessati.

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