Che l’agenda e i contenuti di questa campagna per le elezioni politiche del 4 marzo non rispecchino le priorità del momento storico che il nostro Paese è chiamato ad affrontare, è ormai un dato di fatto. Difficile credere che si tratti di dimenticanze, molto più facile pensare che ciò sia dettato dal timore di toccare argomenti poco popolari e che, comunque, richiedono competenza, idee chiare e capacità di spiegarne i contenuti agli elettori. Mi riferisco soprattutto al tema del posizionamento italiano nel contesto internazionale, e ancor di più in quello comunitario: un argomento che farebbe emergere in modo evidente le contraddizioni interne ad un centrodestra che pretende di porsi come custode della tradizione popolare ma che oggi è a chiara guida lepenista.
È, questa, la prima, grande differenza che separa me e gli amici di Civica Popolare Lorenzin dal tandem Salvini-Meloni, e che sta alla base della nostra scelta di campo: vale a dire un netto e deciso posizionamento europeista, ispirato al popolarismo, capace di dialogo con lo schieramento socialista, sul modello che vediamo prevalere in molti Paesi europei, prima fra tutti la Germania.
I cinque anni di governo con il centrosinistra sono stati orientati a cogliere quelle occasioni di protagonismo che le vicende internazionali (Brexit, crisi migratoria, addirittura la vicenda di Ema) hanno offerto all’Italia per riguadagnare peso in campo internazionale. L’ambiguità in merito ad un tema così rilevante offende l’intelligenza delle persone a cui chiediamo di esprimere la fiducia attraverso il voto: questioni capitali come l’immigrazione, il rischio del terrorismo, la crescita economica, il lavoro, la gestione dei conti pubblici per menzionarne alcune, sono irrisolvibili senza il coinvolgimento dell’Unione Europea e senza un chiaro protagonismo italiano nelle istituzioni di Bruxelles. Fare finta che questo non sia un tema di primaria importanza rivela superficialità o incompetenza; essere convinti che esistano strade alternative è sintomo di malafede o distacco dalla realtà.
Quanto detto finora è esemplificato dal caso della crisi migratoria, la cui gestione deve sottostare a regole comunitarie, peraltro sottoscritte proprio da Berlusconi e Maroni, i cui partiti si pongono oggi come alfieri contro quell’architettura normativa. I regolamenti di Dublino sono il principale problema nell’azione di contrasto all’ingente flusso migratorio verso le nostre coste: lungi dai proclami e dalla narrativa dei pugni sbattuti sul tavolo, la revisione ragionevole e realista di tale quadro normativo può oggi finalmente cominciare grazie alla recente votazione del Parlamento Euroeo, frutto di un costante e deciso impegno portato avanti dai governi italiani di quest’ultima legislatura: è il primo passo di un lungo processo politico, che dovrà passare da snodi delicati come quelli interni al Consiglio Europeo, ed è anche per questo che la continuità della nostra presenza dentro le istituzioni comunitarie di questi anni è essenziale.
Una politica che è anche consapevole delle reali necessità e urgenze che le sfide che viviamo ci impongono: mi riferisco al tema della difesa, certamente impopolare, e per questo cavalcato da molte forze populiste come capro espiatorio dei problemi nazionali, ma al contrario decisivo per la salvaguardia della nostra sicurezza. L’assenza di percezione delle minacce nella vita quotidiana non è un indicatore del fatto che tali minacce non esistano: al contrario, rivela che la prevenzione e il contrasto funzionano, e che proprio per questo non è pensabile ridurre investimenti e impegno in tal senso. I nostri sistemi di difesa e di intelligence necessitano di continuo ammodernamento per garantirne l’efficienza e l’efficacia nell’azione di risposta a minacce in continuo mutamento: è emblematica, ad esempio, l’esposizione dell’Italia nel campo della cyber security, come peraltro io stesso ho personalmente sperimentato con i recenti attacchi personali che ho subìto da parte russa nella mia posizione di Presidente della Assemblea Parlamentare della Nato, di cui Formiche.net ha dato ampio resoconto. Arretrare in questo campo significa negare la realtà, e solo degli irresponsabili potrebbero agire in questo modo; inoltre, anche questo tema non può prescindere dal contesto comunitario, a maggior ragione dopo che la decisione di istituire una Pesco (cooperazione rafforzata) sul tema della difesa comune europea apre a scenari che potrebbero rivelare opportunità di sviluppo economico e occupazionale per il nostro Paese.
Sembra perfino che si abbia paura a ribadire la nostra profonda e irrinunciabile vocazione euro-atlantica, che vede nella partecipazione alla Nato un pilastro fondamentale, quasi vergognandosi dell’enorme contributo che il nostro Paese dà, in termini concreti, alle missioni internazionali condotte sotto l’egida delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea, della stessa Nato.
Al contrario di molti altri, noi non ci nascondiamo l’importanza capitale di questi temi, che anzi sono tra i motivi che spiegano la nostra scelta politica, profondamente europeista e convinta del ruolo che l’Italia deve avere nel contesto globale: l’esperienza di responsabilità di questi anni, nei quali ho peraltro avuto la possibilità di lavorare in prima persona su queste tematiche grazie alla mia elezione a Presidente dell’Assemblea Parlamentare della Nato, ci impone di guardare con serietà e realismo a ciò che si staglia al vero orizzonte, quello che sta al di fuori dalle beghe di casa nostra, apparentemente lontano dai nostri interessi quotidiani mentre non vi è mai stato così drammaticamente – e pericolosamente – vicino.