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Come funziona l’intelligence italiana? Dieci anni di previsioni e obiettivi raggiunti

Servizi segreti

Terrorismo di matrice jihadista, migrazioni di massa e guerra cibernetica. Le minacce di oggi erano state previste dieci anni fa dall’intelligence italiana, che ha saputo sfruttare la meglio la riforma del comparto del 2007 pur negli anni più complessi della storia recente. Il lavoro però non è finito, anzi deve proseguire per un futuro che continua ad apparire denso di rischi. È quanto emerge dalla Relazione annuale 2017 sulla politica dell’informazione per la sicurezza, presentata oggi a Palazzo Chigi dal direttore generale del Dis Alessandro Pansa, insieme al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni

LA RIFORMA HA FUNZIONATO

A dieci anni dalla legge 124 del 2007 che riformò l’intero comparto intelligence, l’appuntamento annuale della Relazione al Parlamento è occasione per “una riflessione sul passato recente e sul futuro prossimo della nostra intelligence”. La riforma, spiega il documento, “ha prodotto un cambiamento profondo nel modo di concepirsi, di strutturarsi e di operare degli organismi informativi”. La 124/2007, tanto invocata dato che, fino ad allora, la materia era disciplinata dalla legge 801 del lontano 1977, “ha consentito al comparto di risultare pienamente attrezzato per mitigare l’impatto sulla sicurezza nazionale dei grandi mutamenti che sono nel frattempo intervenuti sul piano geopolitico, economico-finanziario e tecnologico”. In sintesi, “l’Italia ha dimostrato di saper anticipare i fenomeni con provvedimenti normativi lungimiranti e tempestivi, come la riforma del 2007, ma il futuro appare denso di opportunità, così come di minacce”.

SE IL COMPARTO HA VISTO LE MINACCE IN ANTICIPO

E così, riavvolgendo il nastro delle Relazioni annuali, si può capire come effettivamente la riforma abbia funzionato. Difatti, in occasione del decennale della 124/2007, la Relazione di quest’anno riporta alcuni stralci dei documenti passati, attraverso i quali sembra di poter toccare con mano la capacità analitica e previsionale del comparto italiano, indispensabile per il supporto informativo al decisore politico. Nel 2007, il Sistema metteva in guardia il Vecchio continente sulla jihad globale, diversi anni prima della riaffermazione del fenomeno nelle vesti dell’Isis. Nel 2008 appare il termine lone terrorist, evolutosi poi in “lupo solitario”, un’espressione a cui siamo ormai abituati ma che, allora, anticipava i tempi. Nello stesso anno, il comparto evidenziava il rafforzamento dello sfruttamento della migrazione da parte dei gruppi criminali, mentre già nel 2009 poneva l’accento sulla nascita dello Stato islamico dell’Iraq (Isi), identificato da subito dalla nostra intelligence come il tentativo di affermazione statuale di un gruppo terroristico. Sempre allora, notava come avesse “assunto una caratura strategica” la minaccia alla cyber-security. Nel 2010, prima dello scoppio delle cosiddette primavere arabe e della caduta di Gheddafi in Libia, il Sistema di informazione metteva in guardia circa l’instabilità del nord Africa, mentre nel 2011 ribadiva la preoccupazione per “il jihad individuale” e per mezzi di attacco low-cost, molto in anticipo rispetto alla drammatica serie di attentati europei targati Isis. Nel 2013, si può leggere l’attenzione nei confronti del possibile ritorno dei foreign fighters, mentre l’anno dopo il Sistema mette evidenzia le difficoltà legate alla “questione curda”, divenuta oggi di estrema attualità. Insomma, anche alla prova dei fatti, la riforma dell’intelligence ha funzionato, a conferma delle capacità del comparto e della visione del legislatore.

DIECI ANNI DI CAMBIAMENTI E NUOVE MINACCE

Tale bilancio non può che essere positivo considerando anche il fatto che gli ultimi undici anni sono stati tra i più complessi in termini di evoluzione della minaccia. Come ricorda la Relazione 2017, l’emersione delle economie emergenti, il ripiegamento degli Stati Uniti e l’affermazione di attori non statuali (leciti e non) hanno profondamente trasformato l’ambiente geopolitico. A tutto questo, si legge nel documento, si sono aggiunte crisi diffuse a carattere più o meno tradizionale, e basti pensare alla Libia, all’instabilità della regione mediterranea o alla crisi ucraina per rendersene conto. Il risultato, spiega il Sistema, è che l’ultimo decennio ha “fatto segnare trasformazioni che hanno già profondamente inciso sul nostro modo di vivere, anticipando ulteriori evoluzioni, ancora non chiaramente prefigurabili”.

TRA RIVOLUZIONE DIGITALE E CRISI ECONOMICA

Ma quali sono i fenomeni che hanno maggiormente contribuito a modificare il panorama internazionale? Non ci sono dubbi secondo il comparto: “La cosiddetta rivoluzione digitale e la crisi economico-finanziaria, le cui prime avvisaglie risalgono proprio al 2007”. Questi due elementi “hanno entrambi agito da volano e moltiplicatore di altri fattori di minaccia”. Per quanto riguarda la rivoluzione digitale, “molti e significativi saranno gli effetti, anche sul piano della sicurezza, degli ulteriori sviluppi che stanno facendo ingresso nella quotidianità di individui, imprese e Stati: dopo cloud e big data – con il loro corollario di potenzialità e rischi – saranno l’intelligenza artificiale, la robotica e il cd. internet delle cose a rivoluzionare i modelli di produzione e le stesse relazioni tra singoli e tra Paesi”. A ciò si è però aggiunta, si legge nella Premessa della Relazione, “la più grande crisi economico-finanziaria che il mondo occidentale abbia dovuto affrontare dopo quella del 1929, e che, ad un decennio dal suo inizio, ancora ci consegna un carico di turbolenze, precarietà e rischi”.

Rivoluzione digitale e crisi economio-finanziaria, combinate tra loro, ci hanno consegnato un mondo più fragile. “Globalizzazione, tecnologie e accentuata mobilità intercontinentale” hanno aumentato le sfide per la sicurezza nazionale. Migrazioni di massa, terrorismo di matrice jihadista e criminalità organizzata hanno tutte approfittato degli spazi aperti dalla fragilità del sistema internazionale, offrendo peraltro “altrettanti spunti per il fronte dell’estremismo interno che – con livelli di aggressività diversificati e caratura ideologica eterogenea – ha alimentato istanze di protesta e pulsioni antisistema”.

LE CINQUE SFIDE COLTE DALLA RIFORMA

Di fronte a tanta complessità, niente paura. L’Italia ha infatti avuto a disposizione uno strumento legislativo che ha permesso al comparto intelligence di affrontare con unitarietà e flessibilità la pluralità di minacce che si sono presentate, riuscendo a cogliere le cinque sfide poste dalla legge 124/2007 e spiegate dalla Relazione 2017. Primo, il coordinamento interno: “la riforma, pur optando per il mantenimento di un modello binario, ha infatti eletto unità e unitarietà a pilastri fondamentali del Sistema di informazione, attribuendo deciso rilievo alla funzione e ai meccanismi del coordinamento”. Così, sono stati definiti con chiarezza il centro di responsabilità politica (il presidente del Consiglio, vertice dell’intero sistema), l’organismo di coordinamento (il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, Dis, alle sue dipendenze), e i soggetti operativi (Aise e Aisi, rispettivamente per la sicurezza esterna e interna). Secondo, “l’interazione con il decisore politico”, evidente soprattutto nel rapporto con il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (Cisr), a cui la riforma ha affidato funzioni di consulenza e indirizzo generale, e il Comitato parlamentare (il Copasir), che ha invece il compito del controllo democratico del sistema. Terzo, l’apertura alla società civile: “La società civile, del resto, non è più, nell’ottica moderna, mero fruitore e beneficiario di sicurezza fornita ab externo, ma è anch’essa chiamata a fare la sua parte all’interno di un ecosistema nazionale”. In questo senso, da annoverare la recente iniziativa, in ambito cibernetico, “Be aware, be digital”, destinata ai giovani e alle Pmi. Quarta sfida colta, quella della collaborazione internazionale: “Si è trattato di un processo impegnativo, favorito tuttavia dalla consapevolezza, condivisa con i principali Paesi amici e alleati, dell’impossibilità – anche per le comunità intelligence più numerose – di far fronte alle moderne sfide in solitudine”. Infine, quinta sfida, il miglioramento e l’aggiornamento delle risorse umane e tecnologiche, “la cui virtuosa sinergia rappresenta il vero atout di qualsiasi apparato informativo, rimandando ai versanti che costituiscono il fulcro dell’attività intelligence: ricerca e analisi”. Su questo ultimo punto, ammette la Relazione, “la sfida è ancora in atto ed è destinata a rimanere una costante dell’impegno del Sistema di informazione”.


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