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(Ri)pensare l’Europa: comunità di destino, non unione di interessi

Si è svolta venerdì sera (una sera da lupi, con pioggia, fulmini e saette) all’Impact Hub di Roma la presentazione del libro “E’ l’Europa, bellezza”, di Michele Gerace. L’autore ha avuto l’idea, indovinata, di organizzare delle presentazioni in formato di informal talk davanti a un aperitivo, assieme ad alcuni co-protagonisti del libro, per discutere e provare a fare delle sintesi utili e possibilmente costruttive.
E il modello funziona, non c’è che dire. Discutere di Europa è molto facile – lo può fare chiunque – ma farlo con conoscenza e renderlo fruttuoso (per sè, oltre che per gli altri) è una sfida personale, specialmente oggi.
C’è infatti molta confusione quando si parla di Europa: la questione europea è complessa, le sue istituzioni e le rispettive competenze sono sconosciute al grande pubblico e i media non aiutano, avvolti da un alone di superficialità che, per fare un esempio, fa scambiare il Consiglio d’Europa (un’organizzazione internazionale extra-UE composta da 47 membri con sede a Strasburgo) con il Consiglio Europeo (una delle principali istituzioni dell’UE che riunisce i capi di stato o di governo) e la Corte di Giustizia Europea con la Corte dei Diritti dell’Uomo.
Prima di intervenire alla presentazione, il mio pensiero è corso al grande Giovannino Guareschi da una parte, e a Martijn van Empel, Anne Loijestijn, Jules Stuyck, Gustavo Visentini ed altri professori amici dall’altra. Se l’uno (quel genio di Guareschi) mi solletica l’immaginazione su come commenterebbe il processo di integrazione europea in corso, gli altri sono state persone determinanti nel corso della mia formazione giovanile – in Olanda prima e a Bruxelles poi – nel trasmettermi una autentica coscienza europea, mai svincolata da un altrettanto autentico senso critico.

Come è emerso venerdì sera, siamo consapevoli che finché l’Europa resterà una mera unione di interessi (anziché una comunità di destino, come Adenauer, Monnet e Schuman saggiamente auspicavano) l’Unione Europea non sarà una unione, ma un contratto a prestazioni corrispettive (e sperequative), con facoltà di recesso. Un flop.
Se gli interessi vengono meno, anche lo stare insieme va in crisi. E così è avvenuto.
L’Europa dei padri fondatori doveva essere sussidiaria ai singoli paesi componenti, al fine di valorizzarne le identità e risolverne i problemi, e non invece una realtà, come quella attuale, governata con metodi accentratori da una classe burocratica influenzata dagli stati dominanti, Germania e Francia in primis (ovvero la piena realizzazione del Manifesto di Ventotene di Spinelli e Rossi! E dove si sono incontrati Renzi, Merkel e Hollande due estati fa?).
In questa luce, io credo che Brexit non stia a significare una sfiducia verso l’Europa, bensì una sfiducia verso l’establishment europeo.
Establishment che ha deviato dal progetto originario, come ho rimarcato durante la presentazione del pamphlet.

I padri fondatori erano avversi ad ogni nazionalismo, avendone visto gli effetti durante la seconda guerra mondiale, ma non disprezzavano affatto nè l’amor patrio nè le radici culturali e religiose dei loro popoli. Tanto è vero che la comunità di destino doveva essere cementificata da un impianto valoriale comune, dal riconoscimento di quelle radici cristiane che, nel corso della elaborazione della fallimentare Convenzione Europea, sono state rifiutate. Il tradimento del progetto ha avuto così compimento.
Se pensiamo a De Gasperi, da giovane deputato a Vienna difendeva l’italianità del Trentino contro il pangermanesimo nazionalista dei tedeschi; contrapponeva la cultura cattolica, di Dante, San Tommaso, Michelangelo e Manzoni, alle filosofie di Kant, di Nietzsche e Marx; nel contempo lodava l’efficienza austriaca, paragonandola alla burocrazia elefantiaca dello Stato italiano, e meritando così, da parte dei tedeschi, l’accusa di essere “filo-italiano”, e da parte degli italiani, l’accusa di essere “austriacante”.
Soprattutto – come recentemente sottolineato dal prof. Francesco Agnoli – De Gasperi riteneva essenziale il coinvolgimento del popolo in ogni progetto politico: questo lo porterebbe oggi a criticare duramente l’evidente deficit di democrazia in cui vive l’Europa.

Oggi il dibattito mediatico è segnato da superficialità e ignoranza, in gran parte. Recentemente mi è toccato addirittura leggere su un blog una critica tanto caustica quanto delirante del Progetto Erasmus. Se c’è una iniziativa europea positiva, intelligente, davvero formativa, è stata l’Erasmus. Uno strumento che permette da più di 20 anni, a studenti di ogni paese (meritevoli in primis), di frequentare per un periodo adeguato atenei in tutta Europa, imparare le lingue, studiare, confrontarsi, aprire la mente, acquisire una vision che vada oltre i confini nazionali.
Di più: imparare quel think globally, live locally che è fondamentale per guidare (e non subire) il processo di globalizzazione in corso.
E pazienza se qualche imbecille starnazza.

Il guado operativo dell’Europa si tocca con mano. I progetti dell’unione bancaria, dell’unione fiscale, dell’unione di bilancio e dell’unione economica non fanno passi avanti. Solo i progetti della vigilanza e del controllo rimangono attivi, provocando tra l’altro (vedi il “Fiscal compact”, un trattato approvato in Italia nella più assoluta imprudenza e inconsapevolezza!) un’austerità foriera di disoccupazione e non di sviluppo, di recessione e non di crescita. Il guado attuale, come mi ha ricordato in più occasioni l’amico Arnaldo Ferragni – protagonista nelle istituzioni europee per più di quarant’anni – rappresenta la palude nella quale l’UE si è ingolfata, senza essere stata in grado, fino ad ora, di tracciarsi un passaggio. Ma dove dovrebbe andare questa Europa se vuole uscire dal guado?
Da una parte, sul piano operativo, occorre agire sulle istituzioni, influenzare i processi di decision making. L’80% della legislazione interna in Italia è di derivazione europea. Vanno pertanto rinegoziati ove possibile i parametri del Trattato di Maastricht, non più attuabili per nessuno perché la crisi economica mondiale ha modificato completamente la situazione e le prospettive: solo così si potrà avere la possibilità di creare una serie di investimenti indispensabili per l’Italia.
Anche le elezioni politiche, all’interno di uno stato membro, vanno vissute in quella prospettiva. Il Consiglio Europeo ha oggi una fortissima influenza nella determinazione delle politiche europee.
Dall’altra parte, ritrovare lo spirito europeo, quello del progetto fondativo seppur traslato ai giorni d’oggi, con protagonisti diversi.
Dunque, non “più Europa”, ma un’Europa diversa.

Una postilla, quanto allo spirito europeo: consiglio al lettore più giovane di documentarsi in rete sul significato della bandiera europea. Si renderà conto anche da quello di quanto profondo sia stato il sopracitato tradimento.


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