Questo pomeriggio Martin Schulz ha comunicato dalla sede della Willy-Brandt-Haus la sua decisione di lasciare la carica di Presidente della SPD. Lo fa con occhi lucidi dopo settimane di bombardamento interno ed esterno dovuto alla sua linea politica incerta e spesso contraddittoria.
Una campagna elettorale fatta all’insegna del no a una nuova Grande Coalizione. Un no netto. Una campagna con parole che richiamavano i valori fondanti della SPD, giustizia sociale, equità, solidarietà. Eppure, quel 21% appena ottenuto alle elezioni erano il segnale forte che quache cosa si era rotto tra popolo e SPD. La domanda che circola ormai con insistenza è: ma la SPD è ancora un Volkspartei? Ossia, un partito popolare di massa? Con simili risultati la risposta sembra chiara: no.
Martin Schulz ha commesso molti, moltissimi errori, durante la campagna elettorale, nei confronti televisivi con Frau Merkel, ma soprattutto dopo. Con questo tira e molla sulla grande coalizione che ha irritato, deluso e ancora irritato iscritte ed iscritti. In modo particolare gli Jusos, la giovanile della SPD, capitanati da Kevin Kühnert, che in queste settimane sta facendo un tour in tutta la Germania per promuovere il no alla GroKo tra iscritte ed iscritti.
Schulz ha capito che il vento è cambiato e non in suo favore. Una popolarità in caduta libera. Un partito dato nei sondaggi attorno al 17% pericolosamente vicino ad AfD, che sale fino al 15%. Una CDU indebolita, che scende sotto il 30% e una leader politica, Angela Merkel, arrivata anche lei alla conclusione, probabilmente, della sua esperienza politica. Questo 2018 è il tramonto dei volti noti della politica tedesca. Quello che si apre è però un periodo di incertezza: AfD rafforzerà o diminuirà il suo consenso?
La discussione richiederebbe molto tempo. Credo che una nuova Grande Coalizione rafforzerebbe molto AfD e darebbe il colpo di grazia alla SPD. Schulz in conferenza stampa ci dice che il 70% del contratto di coalizione è socialdemocratico. Cosa assai poco realistica. Ma se anche fosse così a Schulz e al gruppo dirigente SPD va ricordato che non è così che si afferma la SPD, per luce riflessa. Sempre in seconda o terza fila. Un programma socialdemocratico lo si fa quando si vincono le elezioni, il resto è solo un prodotto “vorrei ma non posso”. Schulz ha sbagliato a mettersi contro gli Jusos. In pochi lo sanno, ma i giovani sono stati i più forti sostenitori di Schulz come alternariva a Gabriel. E lui, in un certo senso, li ha delusi. E loro, a differenza delle giovanili nostrane, hanno reagito. E con forza.
Al netto di ciò che si può credere di Schulz, gli va dato atto di aver compiuto una scelta certo dura, ma giusta. Non poteva restare al suo posto. Non dopo la “non-vittoria” del si al Bundesparteitag per portare avanti la discussione sul contratto di coalizione, non dopo i giravolta sulla questione dei ruoli nel futuro governo Merkel IV e tanto meno non dopo le numerose e incoerenti posizioni assunte sulla GroKo.
La scelta di nominare una reggente, Andrea Nahles ex Ministra del Lavoro, non è delle più felici. La base è di nuovo irritata. La scelta migliore era conferire a uno dei vice presidenti la reggenza e convocare un Parteitag straordinario per eleggere un nuovo Presidente di partito. E possibilmente con un dibattito, un confronto, e qualche candidato in più.
La SPD è il partito più antico d’Europa. La sua storia è poderosa. Ha superato crisi ben peggiori di questa. E’ sopravvissuta ad Hitler e al comunismo. Confidiamo che superi anche questa nuova sfida. Perché ne va della tenuta della Germania e dell’Europa.