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Armi, immigrazione, Europa. I repubblicani Usa al tempo di Trump

Di Stefano Cabras
sanzioni stati uniti, trump

“Le scuole senza armi mettono in pericolo i nostri studenti, è tempo di rendere le nostre scuole degli obiettivi più difficili per gli aggressori”. Trump sceglie la convention annuale dei conservatori americani per intervenire a gamba tesa nel dibattito sul possesso delle armi riesploso negli Usa dopo la strage nella scuola di Parkland, in Florida, dimostrandosi impermeabile alle richieste delle migliaia di manifestanti che da giorni assediano la Casa Bianca chiedendo di limitare la circolazione delle armi negli Usa. Trump è chiarissimo, il diritto sancito dalla Costituzione a possedere armi è inviolabile, “i democratici vogliono cancellare il secondo emendamento, non lo consentiremo mai”. Di più, “quando rendiamo le nostre scuole delle zone senza armi mettiamo i nostri studenti in grave pericolo” ha dichiarato il presidente. Unica concessione alla marcia contro le armi il tycoon la fa quando diche che occorre “rafforzare i controlli preventivi”, per evitare che le armi finiscano in mani pericolose.

Nel discorso del tycoon c’è stato anche spazio anche per il Daca, il provvedimento voluto da Obama nel 2012 che consente agli immigrati irregolari, entrati negli Stati Uniti da bambini seguendo i propri genitori, di evitare il rimpatrio e ricevere un permesso di lavoro biennale e rinnovabile. “Il Daca non succederà” ha tuonato Trump, dichiarando che anche i democratici hanno ormai perso le speranze.

I lavori del conclave annuale dei conservatori americani erano stati aperti giovedì dal vice Presidente Pence, con un discorso che ha elogiato il primo anno del tycoon alla Casa Bianca e ha incoraggiato la platea a “contrattaccare”, contro il tentativo democratico di riprendersi il Congresso nelle prossime elezioni di medio termine. “L’altra parte è motivata. Quindi oggi, uomini e alle donne di questo movimento dei conservatori, vi esorto: fate che questo sia il giorno in cui il nostro movimento decida di ottenere un’altra vittoria per il popolo americano nel 2018”, aveva detto Pen. Per il vice presidente nel 2018 occorre votare i repubblicani per difendere l’agenda Trump, i tagli i tagli alle tasse, il giro di vite contro l’immigrazione clandestina e il progetto di aumentare le spese militari. L’unico obiettivo dei democratici, ha detto Pence, è quello di “opporsi alle nostre politiche. Opporsi al nostro Presidente e opporti ai progresssi per cui voi, io e l’intero movimento abbiamo tanto combattuto…sta a noi fermali”.

L’altro ospite d’onore di giovedì, Marion Le Pen, nipote di Marine, leader del Front National, aveva inizialmente destano qualche alzata di sopracciglio da parte dei repubblicani più mainstream, da sempre molto restii a relazionarsi con l’estrema destra europea e alle sue reminiscenze fasciste e naziste. Tuttavia Marion, con un discorso dai toni piuttosto anti-europeisti, è sembrata trovare l’approvazione dei partecipanti, per esempio quando ha stuzzicato la platea su uno dei temi simbolo dell’amministrazione Trump, l’immigrazione, “la Francia oggi non è più libera, dopo 1500 anni di esistenza, ora dobbiamo combattere per la nostra indipendenza” aveva spiegato la giovane le Pen. Gli applausi più convinti però, la 28enne li ha ricevuto quando ha attaccato l’Unione Europea, “un’ideologia senza terra, senza popolo, senza radici e senza civiltà”, aveva tuonato Marion.

La le Pen probabilmente desiderosa di trovare un appoggio oltreoceano ora che a Parigi il Front National sembra aver perso un po’ del suo appeal, si era anche spesa in un elogio dell’America First. “Non mi offendo quando il presidente Trump dice America first. Infatti, io voglio America first per il popolo americano, Gran Bretagna first per i britannici e Francia first per i francesi” aveva dichiarato a un pubblico sempre più entusiasta.

Il meeting annuale dei conservatori, segnato da toni particolarmente forti, conferma la svolta a destra del Partito repubblicano, che sotto Trump sembra su molti temi aver ormai abbandonato la tradizionale linea politica che aveva caratterizzato le precedenti amministrazioni repubblicane.

 


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