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Cosa sta accadendo davvero in Yemen e i crimini commessi dalle milizie Houthi

Di Mitchell Belfer

L’affievolimento della guerra contro Daesh può anche preoccupare per la sicurezza in Europa, ma è la triplice crisi che sta emergendo in Yemen – la tragedia umanitaria, quella socio-economica e quella geopolitica – che contiene il potenziale per sovvertire quel che è rimasto dell’ordine in Medio Oriente. Situato al confine strategico del sud-ovest della penisola araba, dove lo stretto di Mandeb si frappone fra il Golfo di Aden e il Mar Rosso, guardando a Nord verso il Nejaz, lo Yemen è condannato dalla sua posizione geografica: i più intraprendenti attori regionali e internazionali lo vedono come un trampolino di lancio per proiettare la loro influenza sull’Arabia Saudita, e di conseguenza sulle sue enormi riserve di petrolio e i più sacri santuari dell’Islam, Mecca e Medina.

L’Iran dell’Ayatollah è l’ultimo, in una lunga serie, ad entrare nella ressa politica dello Yemen. Questo ha portato a una spirale di crisi: terrorismo, carestie, colera e una guerra aperta. L’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain e una coalizione di alleati si sono schierati per impedire alla principale milizia finanziata dall’Iran – gli Houthi – di prendere definitivamente il controllo del Paese, mentre un mosaico di unioni tribali e feudi in miniatura, gruppi terroristici e milizie, sono insorti trasformando il Paese in un puzzle. Poi, il 4 dicembre 2017, l’ex presidente dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, è stato assassinato dai ribelli Houthi. Aveva cambiato sponda, denunciando pubblicamente l’Iran e gli Houthi, impegnandosi a collaborare con la coalizione, e ha pagato per questo con la sua vita. Lo Yemen è finito di male in peggio.

Attraverso l’uso del potere e della paura, gli Houthi hanno assorbito una manciata di tribù che un tempo avevano supportato Saleh e che hanno poi consolidato, con l’aiuto di Teheran, i loro possedimenti territoriali, inclusa una serie di porti come Hodeida. Gli attacchi con missili balistici contro l’Arabia Saudita sono ormai all’ordine del giorno, e non c’è alcun miglioramento in vista. La guerra contro gli Houthi però non è l’unica dinamica in gioco. Nel sud dello Yemen il separatismo è tornato e minaccia di tagliare via l’ultimo filo di stabilità: Aden.

Nel tardo aprile del 2017 il governatore del Governatorato di Aden, Aidarus al-Zoubaidi, è stato licenziato dal Presidente dello Yemen riconosciuto dall’Onu, Abdrabbuh Mansur Hadi. Accusato di slealtà per il suo supporto pubblico del movimento per l’indipendenza del Sud, al-Zoubaidi ha presto abbandonato la politica nazionale per sostenere il cosiddetto Consiglio di Transizione Meridionale (STC), creato nel maggio 2017. Hadi ha dichiarato il consiglio illegittimo. Da maggio vige una doppia, debole situazione di stallo: nel conflitto fra gli Houthi e il Governo e in quello fra il Nord e il Sud.

Quest’ultimo è ritornato a vivere il 28 gennaio 2018, quando i separatisti dello STC hanno preso il controllo dei quartieri generali del governo yemenita ad Aden, spargendosi in ampie zone della città portuale del Sud, incluse le basi militari. La loro avanzata verso il palazzo presidenziale si è fermata a seguito di uno scontro con le forze filo-governative. I separatisti hanno circondato in breve tempo l’edificio mentre il Primo Ministro Ahmed bin Daghr e i suoi ministri erano all’interno. Gli Emirati Arabi Uniti hanno supportato queste milizie contro gli Houthi e ora le loro armi sono state puntate contro il governo nazionale yemenita e le unità militari appoggiate dall’Arabia Saudita, causando una serie di tensioni all’interno della coalizione.

Per fortuna, le tensioni sono limitate. La spola diplomatica fra sauditi ed emiratini può aver giocato la sua parte, ed entrambi i Paesi hanno invitato l’esercito dello Yemen e i secessionisti del Sud a concentrare le energie per la lotta contro i ribelli Houthi e per risolvere l’empasse di Aden. Gli Emirati Arabi Uniti si sono spinti oltre: il loro ministro degli Esteri, Anwar Gargash, a seguito degli scontri di Aden, che hanno causato 15 morti, ha sottolineato il supporto emiratino per la coalizione guidata dai sauditi. Ha poi aggiunto che non ci sarà alcun conforto per gli istigatori. La crisi è dunque scampata, per ora.

La fine della guerra in Yemen non ha nulla a che vedere con le congetture, dipende da un impegno concreto. Se la comunità internazionale chiude un occhio sui crimini commessi dalle milizie Houthi e non rinforza in modo adeguato il governo legittimo di Hadi e la lotta della coalizione per preservarlo, allora il Paese continuerà a procedere nella sua spirale di guerra e nell’erosione del tessuto nazionale. Questo è un vaso di Pandora che deve essere sigillato prima che una tempesta di tribalismo, settarismo, secessionismo e cruda geopolitica costringa il Paese a girare un angolo da cui non potrà tornare indietro.

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