Quali sono i riferimenti culturali e politologici di Luigi Di Maio? Il Movimento 5 Stelle ha nel suo dna un approccio totalmente refrattario alle ideologie ed ai vecchi armamentari dei partiti tradizionali. Eppure, è evidente che nessun essere umano può essere una tabula rasa. Certamente non lo è il capo politico dei grillini. Ottenuto il 32% dei consensi e consegnato quindi all’indubbio successo elettorale, Formiche.net aveva scritto che per Di Maio si presentava il bivio fra le figure di Steve Bannon, ex stratega di Trump e punto di riferimento delle destre anti-sistema, e Macron, presidente francese e leader insieme rassicurante e di rottura rispetto ai vecchi socialisti e gollisti.
Sorpresa, ma non troppo: è proprio il guru americano amato ora dalla Le Pen a chiarire il punto. In una intervista al direttore de La Stampa, Maurizio Molinari, Steve Bannon la mette giù così: “La realtà è che Di Maio guarda a sinistra, vuole essere come Obama e Macron e cerca per questo l’intesa col Pd, mentre Salvini sta con il popolo, ha un cuore, essendo stato comunista e pensa solo a combattere libero commercio e migranti”. Sebbene immagini una alleanza fra i due, l’ex consigliere di Trump auspica che “nel futuro dell’Italia c’è Salvini” e colloca il leader pentastellato dentro il filone culturale di Macron. La preferenza netta di Bannon a favore dell’esponente leghista è una signora notizia che fa peraltro il paio con una scelta (coraggiosa) dello stesso Di Maio che, sul blog del movimento, prova a tracciare il filo di una identità che sorprenderà solo i lettori meno attenti.
”’Politica vuol dire realizzare’ diceva Alcide De Gasperi, ed è a questo che tutte le forze politiche sono state chiamate dai cittadini con il voto del 4 marzo. Più precisamente a realizzare quello che anche nella dottrina sociale della Chiesa viene chiamato ”bene comune”, che è ciò che noi in tutta la campagna elettorale abbiamo indicato come ‘interesse dei cittadini'”. Queste le parole del capo di M5S. Il riferimento al fondatore della Democrazia Cristiana (insieme al prossimo Santo, papa Paolo VI) ed alla dottrina sociale della Chiesa produrranno non pochi mal di mancia, dentro l’anima più movimentista dei grillini e dentro l’establishment che non ancora non ha compreso quello che è accaduto il 4 marzo scorso. Da quella domenica sembra essere passato molto tempo. In una sola settimana un paio di decenni di dibattiti politici sono stati superati e si rivelano ormai passato remoto. Chi vuole costruire il nuovo, con la speranza che duri, sa che non può partire come nulla sia mai esistito prima. Se le fondamenta sono solide e sono profonde, il nuovo edificio politico potrà essere più resistente e magari reggere alle intemperie che la natura prevede. La scelta di Di Maio di richiamare l’esperienza degasperiana e soprattutto la dottrina sociale della Chiesa non lo colloca con la testa all’indietro, come un novello nostalgico della Dc (che non sarebbe di certo un’offesa), bensì lo qualifica come leader consapevole del suo elettorato che è profondamente diverso da quello di cinque anni fa e che lo vede in una sintonia – certamente non esplicita e comunque sui temi di fondo senza alcun collateralismo – con il pontificato di Francesco.
Anche i più convinti detrattori del Movimento 5 Stelle dovrebbero prendere atto che una guida come quella di Di Maio che fra Bannon e Macron sceglie quest’ultimo e lo declina richiamando i valori della tradizione di De Gasperi, dovrebbero prendere atto di questo posizionamento come una novità del tutto positiva per la democrazia italiana. Si tratta evidentemente di un processo culturale ancora agli inizi ma che merita di essere sostenuto. Il “tanto peggio, tanto meglio” è una formula che l’Italia non può più permettersi.