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Il male africano delle dittature che non fanno scandalo. I casi di Burundi e Camerun

Di Giovanni Masotti

Intorno a loro, caos e violenza, economie in sofferenza, povertà e corruzione. Ma i due presidenti-despoti di Burundi e Camerun – Paesi molto diversi, entrambi avvitatisi da tempo in una spirale perversa – se la spassano allegramente, incuranti delle precarie condizioni dei concittadini e di situazioni che ribollono pericolosamente, attirando (ma non abbastanza) la preoccupata attenzione degli organismi internazionali e di alcune organizzazioni umanitarie.

Nel piccolo misero Burundi, dove la repressione dell’opposizione impazza, cinquecentomila profughi scappati in Nigeria negli ultimi mesi, impera Pierre Nkurunziza, 54 anni, fervente (a parole) cristiano evangelico, di etnia hutu – accanto c’è il disgraziato Ruanda delle stragi tribali – che si prepara al referendum costituzionale che lo renderà presidente a vita. Ma intanto, incurante delle proteste (a quelle ci pensa l’ esercito) lo sconsiderato ‘monarca’ continua a divertirsi un mondo col pallone, sua autentica – evidentemente – ragione di vita. ‘Re Pierre’ ha fondato una società di calcio a sua immagine e somiglianza – l’ “Halleluja F.C.” – e ha costruito un modernissimo stadio da 10 mila posti a sedere nella capitale Bujumbura, un impianto che farebbe gola a molti nostri club di serie B. Create le necessarie basi per realizzare la sua sfrenata ambizione calcistica, l’atletico – alquanto appesantito – Nkurunziza sgambetta sul campo da gioco nel ruolo di potente centravanti-ariete e segna immancabilmente, tra il tripudio dei suoi tifosi, almeno un goal a partita. Un formidabile bomber, il presidente che venera Messi e Ronaldo, tre stagioni fa capo-cannoniere del non proprio eccitante campionato burundese.

Per entrare di diritto nella storia del football, ogni aiutino è lecito per il despota-goleador, che ha emanato una inflessibile, inderogabile, norma: i difensori avversari debbono rigorosamente e prontamente farsi da parte quando lui li punta per avvicinarsi all’ area di rigore. I componenti dell’ultima squadra contro cui ha incrociato le armi, in buona parte ignari rifugiati congolesi, non lo conoscevano e non gli hanno fatto toccare palla! Fulmini e saette. L’allenatore e il vice-allenatore del team dei reprobi subito scaraventati in carcere per “oltraggio e cospirazione contro il Capo di Stato”. Presto il processo. I manifestanti, intanto, vengono tranquillamente ammazzati nelle strade.

Nel poverissimo (malgrado le non trascurabili risorse petrolifere e agricole) e inter-etnico Camerun, invece, l’ 85enne arzillo Paul Bija – al potere dall’ ’82 – spende e spande in giro per i posti piu’ belli e costosi dell’ Occidente – ama in particolare Ginevra, Parigi, New York, Roma – sempre in hotel extralusso, mai meno di venti persone al seguito con svariate altre ‘suites’ a carico. Solo in voli – soggiorni e divertimenti esclusi – ha speso, in 25 anni di regno (quattro e mezzo dei quali all’ estero) 117 milioni di dollari. Una follia che grida vendetta, se si pensa che il reddito medio pro-capite dei camerunensi sfiora appena i 1.100 dollari l’ anno e che un terzo di chi lavora guadagna meno di due bigliettoni al dì. L’ineffabile Bija, che si professa cattolico, gode di un appannaggio ufficiale che ammonta a 271 dollari mensili. Basta questo per capire perché, ancora nei primi anni del duemila, il Camerun era in testa alla classifica mondiale dei paesi più corrotti. Ma l’anziano despota continua imperterrito a governare, e a reprimere nel sangue la ribellione dei tre milioni di anglofoni nel sud, sempre sacrificati e perseguitati dalla schiacciante maggioranza ‘francofona’ al potere (venti milioni). Bija non ascolta ragioni. A lui sta a cuore soltanto restare nella stanza dei bottoni – e spassarsela – finché morte non sopravvenga. Tutto il resto è noia.

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