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Il mio bilancio (straordinario) dei primi cinque anni di Papa Francesco. L’intervista a Elisabetta Piqué

“Dopo la votazione e prima della lettura dei foglietti, il cardinale scrutatore, che per prima cosa mescola i foglietti deposti nell’urna, si accorge che ce n’è uno in più: sono 116 e non 115 come dovrebbero essere. Sembra che, per errore, un porporato abbia deposto due foglietti nell’urna: uno con il nome del suo prescelto e uno in bianco, che era rimasto attaccato al primo. Cose che succedono. Niente da fare, questa votazione viene subito annullata, i foglietti verranno bruciati più tardi senza essere stati visti, e si procede a una sesta votazione”. Con queste parole scritte nel suo libro Papa Francesco. Vita e rivoluzione”, la giornalista argentina Elisabetta Piqué anticipa quella sesta votazione in cui uscirà eletto Papa, Jorge Mario Bergoglio, il 13 marzo del 2013.

Sono passati cinque anni da quando Jorge Mario Bergoglio è diventato Papa Francesco. Per Piqué, corrispondente del quotidiano argentino La Nación in Italia e Vaticano, il bilancio del Pontificato, fino ad ora, è straordinario: Bergoglio ha rivitalizzato la Chiesa cattolica e si è trasformato in un riferimento morale internazionale, il cui messaggio va oltre il cattolicesimo. Piqué è molto amica di Francesco ed è considerata la sua biografa. I due si sono conosciuti nel 2001, quando Bergoglio, all’epoca arcivescovo di Buenos Aires, era a Roma per il Concistoro del mese di febbraio. In un’intervista con Formiche.net Piqué ha raccontato questi primi cinque anni di Pontificato.

In questi cinque anni, quali sono stati i più grandi successi e quali le difficoltà che ha dovuto affrontare Papa Francesco?

I più grandi successi riguardano la desacralizzazione della figura del Papa, che non è più un monarca assoluto, inaccessibile e intoccabile, ma qualcuno vicino, che si può abbracciare e baciare. Anche l’aver promosso un pontificato riformista, segnato da una Chiesa vicina a tutti e soprattutto agli esclusi, i “feriti”, una Chiesa che non condanna ma accompagna. Le difficoltà ci sono state, forse, in alcuni momenti in cui è stato consigliato male e ha scelto o confermato in incarichi importanti persone che non condividevano la sua visione della Chiesa.

Come definisce il suo pensiero politico e quello sociale? Si sono trasformati negli anni?

Penso che etichettare questo Papa come progressista o conservatore o comunista, come dicono alcuni, è un errore enorme. Lui è un gesuita che l’unica cosa che fa è tornare alle radici del Vangelo, spingendo la “rivoluzione copernicana dell’amore a Gesù” e implementando gli insegnamenti sociali della Chiesa.

Francesco è stato un Papa abbastanza pop. Dall’uso dei social network, l’avvicinamento ai giovani, i cd con canzoni, passando per i film, i libri, l’immagine di uno del popolo. È una strategia di “marketing celestiale” – come disse una volta lo scrittore argentino Andrés Neuman – o Jorge Bergoglio è davvero un Papa pop?

Che sia popolare e ben voluto dalla gente non vuole dire che Francesco sia “pop”, ma che la gente si è resa conto che questo è un Papa autentico, che è diventato la voce di quelli che non avevano voce, un vero leader morale globale. Quello del “marketing celestiale” non ha nulla a che vedere con questo Papa, un Papa che viaggia in un’umile Ford Focus e che ha centrato il pontificato sugli emarginati… Evidentemente il “marketing celestiale” si riferisce all’immenso business di libri, cd e altro che molti grandi gruppi editoriali stanno facendo sulla sua figura, perché si sono resi conto che Francesco ha qualcosa da dire, un messaggio importante.

Come è cambiata la Chiesa cattolica da quando Papa Francesco è arrivato in Vaticano? È riuscito a fare i cambiamenti che voleva nella Curia o si è trovato molte resistenze?

Francesco ha cominciato un processo di riforma strutturale in Curia – nella quale, come è normale quando si cambia lo status quo, ha trovato alcune resistenze –, con una pulizia delle finanze del Vaticano, prima oscure, e anche con una razionalizzazione dei dicasteri del Vaticani, per fare in modo che l’amministrazione centrale sia più trasparente, agile e funzionale. Ma quello che a lui importa di più è la riforma spirituale, culturale, un cambiamento nella mentalità all’interno della Chiesa, perché sia una Chiesa povera per i poveri, in uscita, con “pastori che odorano di pecora” e questo penso che può impiegare generazioni.

Lotta contro l’estremismo islamico, il disgelo a Cuba, l’accordo di pace in Colombia, il dossier aperto in Venezuela. Com’è stata la politica estera di Francesco?

Francesco ha dimostrato di essere un Papa molto coraggioso, che non ha paura di mettersi in conflitti impossibili, che ha rischiato in prima persona, mettendo in atto quello che ha detto all’inizio del Pontificato: “Il potere è servizio” e che è necessaria una cultura del dialogo e dell’incontro, costruire ponti e non muri. In alcuni casi è andata bene, in altri meno, ma non per quello ha smesso di agire in nome della pace, sempre.

In alcuni settori dicono che Papa Francesco, per il suo carattere e personalità – oltre alle voci di problemi di salute e la mancanza del polmone – potrebbe facilmente dimettersi, come Benedetto XVI. Lei pensa sia possibile?

La storia della mancanza del polmone è totalmente falsa. Ha subìto un intervento quando aveva 20 anni e oggi, a 81 anni, è in splendida forma. Durante l’ultimo viaggio in Cile e Perù, in sette giorni ha preso 10 aerei. Noi giornalisti con lui eravamo distrutti, e lui invece fresco come una lattuga. È vero che disse che, in caso di problemi di salute, avrebbe seguito i passi di Benedetto XVI con le dimissioni. Ma non penso che succederà a breve tempo.

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