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Grandi manovre nel Pd del dopo Renzi. Cosa succede con l’arrivo di Carlo Calenda

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Mentre il Pd fa i conti con la sua crisi più grave e con una sconfitta che in pratica non ha quasi precedenti nella storia della sinistra italiana, c’è già chi sta provando a immaginare un possibile futuro diverso, per il Partito Democratico e per i riformisti italiani. Un’agenda parallela che ripensi profondamente il ruolo del centrosinistra nel nostro Paese, anche alla luce della crisi che i partiti socialisti stanno vivendo in tutto il vecchio continente. La famosa terza via di Bill Clinton e Tony Blair – a cui Matteo Renzi può essere certamente iscritto – ha dimostrato di non funzionare più. Ammesso e non concesso che nel nuovo millennio sia mai riuscita davvero a rappresentare la complessità della società, con tutte le sue differenze e disuguaglianze, come emerge chiaramente anche dal caso Italiano e dal solco ormai sempre più profondo tra nord e sud del Paese.

Un Pd diverso, dunque, che vada oltre gli anni di Renzi ma senza rompere o polemizzare ad personam con Renzi stesso, pure per farla finita con il vecchio difetto del centrosinistra di dividersi sempre su tutto. Un partito distinto, ma non (troppo) distante da quello che è stato finora, in grado di proporre una ricetta e un approccio nuovo di fronte alle sfide imposte in primis dalla globalizzazione e dalla rivoluzione tecnologica e digitale. Fenomeni che certa sinistra – va sottolineato con forza, a maggior ragione dopo la sconfitta di domenica – fatica ancora troppo a capire.

Tra i protagonisti di questa nuova stagione, ci potrebbero essere volti ormai storici del Pd come il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni – forte di un consenso comunque apprezzabile, come dimostra la vittoria nel collegio uninominale di Roma – e rappresentanti della società e del mondo produttivo italiano, ma con il cuore ormai in politica. È il caso in particolare del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, attore primario di questa campagna elettorale nonostante la decisione di non correre in prima persona.

Con i suoi tweet – e i suoi interventi mai scontati – Calenda rappresenta oggi una delle poche risorse di cui dispone il centrosinistra. E anche il Pd, considerato che lo stesso ministro ha annunciato questa mattina – sempre su Twitter, ovviamente – la sua decisione di iscriversi al Partito Democratico. Una scelta accolta con soddisfazione da un pezzo non irrilevante del gruppo dirigente dem, come dimostrano i tweet e i retweet di alcuni esponenti politici. Gentiloni ha ringraziato espressamente Calenda – l’asse tra i due, dopo i 14 mesi insieme a Palazzo Chigi appare sempre più solido – e lo stesso ha fatto il vicesegretario del partito Maurizio Martina che, secondo alcuni rumors, non avrebbe affatto gradito la conferenza stampa di ieri di Renzi (al quale in questi mesi aveva garantito assoluto sostegno). Matteo Richetti – vicinissimo a Graziano Delrio e anche al segretario dem (con cui però il rapporto vive da sempre di alti e bassi) – si è spinto ancora più in là. “Preparo il comitato di accoglienza”, ha commentato il portavoce Pd. Mentre Anna Finocchiaro – un volto davvero storico della sinistra italiana, negli ultimi mesi al governo con il ruolo di ministro per i Rapporti con il Parlamento – si è limitata a un semplice, ma simbolico, retweet.

Tutti segnali di un sentimento crescente nel Pd, tra i dirigenti ma chissà, pure in parte degli iscritti: immaginare un Pd con un’identità politica e culturale rinnovata, capace di farsi capire dai tanti (troppi) elettori che negli ultimi anni hanno abbandonato il centrosinistra e votato i suoi concorrenti.

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