Il Transatlantico della Camera stamattina desolatamente vuoto è l’immagine di un Palazzo con poche certezze e tanti punti interrogativi. I partiti si sono svegliati oggi in un quadro più vicino a quello della Prima Repubblica che non alla Seconda. Sull’esito avrà un ruolo prioritario il Colle ma anche l’atteggiamento dei pentastellati.
Le certezze sono davvero poche: la vittoria oltre le previsioni del M5s e quella della coalizione di centrodestra (ma a guida Salvini e non Berlusconi), l’ampia sconfitta di Matteo Renzi, la conseguente bocciatura senza appello e senza numeri della grande coalizione “moderata” Fi-Pd, la mancanza di una maggioranza chiara scaturita direttamente dalle urne.
I punti interrogativi sono veramente tanti, con variabili che si intrecciano in un modo ancora imprevedibile. Non c’è dubbio che i risultati di queste elezioni, per usare un paragone astrologico, hanno dato ad un allineamento inaspettato dei pianeti, una autentica rivoluzione negli equilibri: il risultato del partito di Luigi Di Maio, il tracollo del Pd, la vittoria di Salvini su Berlusconi.
La sconfitta del Pd, il giudizio negativo degli elettori ha come minimo favorito la strada del M5s, oggi sempre più centrale nella ricerca di un nuovo equilibrio politico. I dem sono terremotati dal voto. Nel pomeriggio parlerà Renzi, ma è opinione prevalente è che la sconfitta porterà il segretario alle dimissioni. Chi ne prenderà il posto, se così sarà, è assai arduo prevederlo. Il nome potenzialmente più “quotato” sarebbe Dario Franceschini, uscito però malamente nella sfida uninominale. Le dimissioni di Renzi, peraltro, potrebbero aprire la strada a nuove spaccature nei dem.
Di questo terremoto, come si diceva, hanno beneficiato i cinquestelle che oggi sono il partito di maggioranza relativa, potenzialmente con un ruolo paragonabile a quello della vecchia Dc. Dipenderà dalla loro capacità di aprirsi ad alleanze vere e non solo ad appoggi esterni che, al momento, non potrebbero attrarre nessuno degli altri soggetti.
In prima fila, tra i possibili partner di governo, c’è la Lega di Matteo Salvini. Il suo partito, che ha sconfitto Forza Italia (precipitata ai minimi storici), condivide con i pentastellati un “mood” anti-sistema che potrebbe dar luogo a una maggioranza solida, anche numericamente, se i due lo vorranno. Le prime dichiarazioni dei leghisti, in attesa di Salvini, lasciavano immaginare un ruolo del Carroccio all’esterno del confine di centrodestra. Oggi però il segretario, in conferenza stampa da Milano, ha chiuso decisamente ad alleanze diverse da quella elettorale, ribadendo la sua fedeltà al voto espresso da milioni di italiani alla coalizione (di cui ha rivendicato la guida) e ribadendo il suo “no” a governi “minestrone” (di scopo, tecnici, ecc…). “Il centrodestra è quello più vicino ad avere una maggioranza. Lavoreremo – ha detto – per trovare i seggi che ci mancano”. Molto però dipenderà da quanto sarà esteso il gap da colmare. E comunque in politica mai dire mai. Il centrodestra, come sottolinea lo stesso Salvini, non ha i numeri per formare un governo autonomo.
Né, come si diceva, ci sono le condizioni politiche e numeriche per una “grande coalizione” Fi-Pd-terze/quarte gambe.
Peraltro il risultato dei pentastellati è talmente forte che praticamente qualsiasi alleanza, se si esclude quella numericamente insufficiente con Liberi e Uguali o con la Bonino, potrebbe portare ad una consistente maggioranza di governo. Quanto siano politicamente praticabili schemi diversi da quelli che coinvolgono M5s e Lega è però tutto da verificare.
Di sicuro il M5s a guida Di Maio è sembrato mostrare delle aperture inedite a collaborazioni con altri partiti, pur se fondate sui temi programmatici e non sulle “poltrone”. Le prime dichiarazioni degli esponenti del partito lo lascia intravvedere, con un linguaggio che ad alcuni è sembrato più doroteo che grillesco. A Roma, intanto, è calato Grillo. Il suo M5s è sempre stato assai più rigido in tema di alleanze. E’ da vedere se il suo arrivo, certamente legato alla “festa” per il risultato, sarà di “accompagnamento” della nuova fase del Movimento o di ritorno al passato. Di Maio, al momento, si limita a dire che oggi a Roma è una “bellissima giornata nonostante la pioggia”.
In tutto ciò non va dimenticato il ruolo di Sergio Mattarella. Il Presidente, di fronte a questo inedito quadro, dovrà in primo luogo decidere se affidare un primo incarico al centrodestra, coalizione vincente, o al M5s, partito vincente. Un rebus nel rebus, che probabilmente verrà sciolto a favore dei pentastellati. Ma c’è ancora tempo. Prima ci sono da fare, tra una ventina di giorni, le elezioni dei presidenti delle Camere. Sarà l’elezione del presidente di Montecitorio, visto il meccanismo di voto, a mostrare probabilmente la maggioranza di governo futura. E questo darà sicuramente qualche certezza in più dalle parti del Colle.