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L’Italia bloccherà le riforme europee? Il dubbio dell’Economist

Europa

Il 4 marzo è stata una giornata campale per le sorti dell’Unione Europea. Dopo un anno e mezzo di pausa dovuto all’attesa dell’esito delle competizioni elettorali più importanti del Continente – Francia, Germania ed Italia – domenica il quadro politico si e rischiarato, per così dire. Fatta salva la presidenza Macron, in sella ormai da quasi un anno, in territorio tedesco e italiano domenica si sono compiuti passi, anche se in direzioni opposte, che si riveleranno decisivi per le sorti della governance e delle riforme dell’Ue.

Domenica è stato il giorno in cui è stato apposto il sigillo sul nuovo governo di grande coalizione che reggerà le sorti della Germania per i prossimi quattro anni, con la cancelliera Angela Merkel saldamente alla guida e la Spd come junior partner ma con importanti caselle al suo attivo. Finisce così una tribolazione durata sei mesi, dal giorno cioè in cui i tedeschi alle urne hanno reso impervia la strada per la formazione di un nuovo governo avendo sottratto consensi alla Cdu di Merkel e inferto una dura punizione alla Spd di Martin Shultz, facendo nel contempo entrare in parlamento una formazione xenofoba – Alternativa per la Germania – che ha risucchiato i voti in uscita dai due maggiori partiti.

Ma proprio mentre il governo tedesco faceva i passi necessari per entrare in carica, nelle stesse ore dal Belpaese giungevano gli scioccanti risultati delle elezioni politiche, che hanno sancito il trionfo delle formazioni euroscettiche – Lega e M5S – e la débacle del partito di governo, il Pd, uno dei pochi a vantare un autentico pedigree europeista. Il quadro politico frammentato emerso dalle urne renderà ardua la formazione di un governo solido e coerente, ma soprattutto rende l’interlocuzione con Lega e M5S assolutamente imprescindibile, per la forza dei numeri che possono vantare, indipendentemente dallo specifico governo che sarà forgiato nei corridoi del Quirinale.

Che ne sarà a questo punto delle riforme dell’Ue? Nel suo ultimo numero, l’Economist si pone proprio questa domanda e offre una valutazione non del tutto rosea.

Col discorso alla Sorbona di settembre, il capo dell’Eliseo ha delineato un progetto ambizioso per l’Europa, comprensivo di un budget condiviso e di un ministro delle finanze in comune. Sono idee che possono trovare risonanza ora anche a Berlino, dove la cautela nei confronti delle visioni di Macron è contemperata dal ribadito credo europeista del quarto governo Merkel.

Ma a Roma? Che tipo di interlocuzione sulle riforme potrà nascere tra Berlino, Parigi e Roma quando in quest’ultima l’ultima parola potrebbe spettare a leader come Matteo Salvini o Luigi Di Maio che hanno trescato a lungo con la suggestione di un’Italexit?

Secondo l’Economist, potrebbe benissimo darsi che Germania e Francia, abituate ai “capricci” del governo italiano, trovino un modus vivendi con Roma. Così come potrebbe darsi che l’Italia, come la Grecia nel 2015, si adegui ai diktat dei partner maggiori anche se trangugiando una pastiglia di Maloox.

Ma per il quotidiano inglese c’è una terza ipotesi, ed è che Merkel e Macron, indispettiti magari dalle posizioni maturate a Roma, facciano tutto da soli e ignorino l’Italia. Se fosse questa la strada che si percorrerà, sarà come dare ragione ai populisti di casa nostra, abituati ad additare l’Europa come una casa distante dove le decisioni sono prese abitualmente sopra le teste degli italiani.

Dovremo attendere aprile naturalmente per sapere il nome del nuovo inquilino di Palazzo Chigi. E per capire se il tandem franco-tedesco proseguirà la sua corsa in solitaria verso le euroriforme o se sarà affiancato da un’Italia più o meno riluttante.

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