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Kenya, dalla pacificazione tra Kenyatta e Odinga una nuova stagione di speranza

Di Giovanni Masotti

Non ci credeva più nessuno, nel depresso Kenya dell’ultimo terribile anno, anche più di un anno. Un’infinita, aspra, ininterrotta, caotica campagna elettorale. Voto uno – in agosto – annullato; voto bis – fine ottobre – ancora contestato, e boicottato, dall’opposizione. Una scia di morti e violenze. La sfiducia e la disillusione, soprattutto tra i giovani sotto i trent’anni (oltre il 50 per cento della popolazione). La paura, la rabbia, l’angoscia per il futuro in tutti gli altri. Due grandi coalizioni (il ‘Jubilee’ del presidente riconfermato ma ‘azzoppato’, Uhuru Kenyatta, (nella foto), figlio di Jomo, padre fondatore della Repubblica indipendente; il ‘Nasa’, l’ alleanza ‘orange’ del vecchio leone Raila Odinga) l’un contro l’altra armate. Inconciliabili. Radicalizzate. Alta tensione. Addirittura, il 30 gennaio, l”incoronazione’ alternativa, “motu proprio”, del 73enne testardo, irriducibile, tribuno del popolo. L’ assurdo, un pericolosossimo assurdo, di due presidenti per un solo paese. Tragicommedia. E anticamera della guerra civile, si temeva a ragione. Mentre si valutava l’ incriminazione di Odinga per ‘alto tradimento’.

E, invece, no. Le trattative sottobanco tra le parti, più volte avviate e sempre abortite (e smentite, ma il tentativo c’era eccome), sono ripartite nella riservatezza più assoluta. Con la consapevolezza, stavolta, che ci si trovava davvero sull’orlo dell’ abisso. Un senso di responsabilità, finalmente, sospinto dal malessere profondo dei kenyani, dal preoccupante arretramento dell’ economia, dalle disdette nel turismo. E dalla voce di America, Europa, Israele (gli alleati) e delle Chiese cristiane (maggioritarie) sempre più alta, sempre più insistente. A raccomandare un indispensabile dialogo, a dipingere – altrimenti – scenari da brivido. Finché i due contendenti non si sono convinti (o rassegnati?) a parlarsi e a cercare un accordo per il rilancio di un Paese – importante e strategico, guida dell’ Africa orientale – ridotto in ginocchio. Una settimana fa, la svolta. A sorpresa nei tempi. Ma non del tutto inattesa. In extremis, comunque.

Il mantra è pacificazione. Davanti alle telecamere, sorridenti e distesi, i due acerrimi nemici. Ex nemici, anzi, che – in omaggio ad una saggia Realpolitik – si stringono la mano, si chiamano ‘fratelli’, giurano che lavoreranno fianco a fianco per il bene della nazione, che lo anteporranno ai loro interessi personali. Parole rassicuranti (si verificherà quanto sincere…). Capitolo chiuso, l’ odio e i veleni. Se ne apre uno nuovo, che spodesta la perenne battaglia. Una stagione di speranza e di progresso per un paese che le risorse ce l’ ha e che deve essere messo in condizione di metterle a frutto.

Diffidenze, ostacoli e misteri – tuttavia – ci sono ancora. In entrambe le file. Soprattutto quelli che nascono dall’ interrogativo politico numero uno: che tipo di intesa hanno stretto Kenyatta e Odinga? In che cosa consisterà lo “sharing power” (la suddivisione del potere) che tutti danno per scontato? Chi ha ceduto? Il presidente legittimo, o il rivale? La fronda affiora con più evidenza nel ‘Jubilee Party’, dove il vicepresidente, il rampante 51enne William Ruto – già pronto a candidarsi per lo scranno più alto nel 2022 – teme di essere disarcionato da Odinga, al quale è sicuramente destinata una poltrona pesante, forse attraverso un cambiamento cosituzionale ‘ad hoc’, che darebbe corpo e rivitalizzerebbe il ruolo di premier, indefinito e depotenziato, poco più che simbolico nella Carta varata nel 2010.

Ma, giunti a questo punto, il compromesso si troverà e il Kenya riprenderà a crescere. Un processo virtuoso in cui verranno comprese le centinaia di imprenditori italiani che hanno investito e puntato da decenni, più di tutti gli altri, sul turismo costiero del triangolo dorato Malindi-Watamu-Kilifi, talvolta in affanno, ma mai travolto dalla crisi. Ulteriore impulso verrà dal previsto, e deliberato, ampliamento del piccolo aeroporto di Malindi, che – nell’arco di pochi anni – diventerà internazionale, dando vita a nuove rotte e a nuove prospettive. Andare e tornare dai “caraibi” kenyani sarà più facile e più veloce. Dall’Europa e dal resto del mondo.

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