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Così Giovanni Canzio spiega l’indipendenza della magistratura nel XXI secolo

Di Giovanni Canzio
L’organizzazione della giurisdizione costituisce uno dei cardini fondamentali dello Stato di diritto perché mediante l’esercizio della giurisdizione si realizza la tutela dei diritti fondamentali della persona. Interrogarsi sui princìpi di indipendenza e di autonomia della magistratura vuol dire, oggi, (ri)scoprire il fondamento della legittimazione del magistrato nella società moderna/postmoderna, insieme con le ragioni della fiducia dei cittadini nell’ordine democratico.
La magistratura, nell’architettura dei poteri dello Stato secondo la Costituzione repubblicana del 1948, è definita “ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” (articolo 104). L’articolo 101, a sua volta, afferma che i giudici amministrano la giustizia “in nome del popolo” e “sono soggetti soltanto alla legge”.
Il primato esclusivo della legge è messo, tuttavia, in discussione, perché è andato crescendo, negli ultimi decenni, il potere d’intervento della giurisdizione. Il giudice, nel ricostruire il fatto e nel selezionare la norma da applicare, esercita un ruolo di co-formazione o parziale creazione della regola più adeguata al caso concreto, svolgendo talora un’opera di “supplenza” nella governance dell’economia, della politica e delle relazioni sociali e ponendosi, così, al centro del quotidiano dibattito pubblico, anche in virtù dei progressi tecnologici dei mezzi di comunicazione. Il fenomeno – non solo italiano – dell’allargamento delle prospettive e dell’orizzonte interpretativo e decisorio del giudice affonda le radici nella scarsa chiarezza e coerenza sistematica delle leggi, nella stratificazione e pluralità delle stesse fonti legislative e giurisprudenziali, nelle trasformazioni della società in continua evoluzione, nell’avanzare impetuoso della scienza e delle nuove tecnologie nel processo.
Come evitare, allora, il rischio che il principio dell’indipendenza, interna ed esterna, della magistratura non sembri una formula vuota di contenuti e non venga giudicato come l’ingiustificato privilegio di una casta, in deroga al principio democratico che vuole ricondurre ogni potere alla volontà del popolo? Come evitare il rischio che l’asse della legittimazione democratica della magistratura, oggi imperniato sul patto costituzionale fra giudice e legge, si sposti sul terreno del consenso popolare (cosiddetto populismo giudiziario)? Occorre declinare il principio costituzionale dell’indipendenza della magistratura in termini radicalmente più impegnativi sul terreno delle garanzie di concreta effettività dei diritti della persona nello Stato di diritto.
Laddove sembra destinato a crescere lo spazio del potere giudiziario, deve crescere proporzionalmente il perimetro della responsabilità del giudice che l’esercita, in termini di: imparzialità e terzietà (“agire e apparire agire” liberi da ogni condizionamento); formazione e maturità professionale; cultura dell’organizzazione; laboriosità e diligenza; ragionevolezza, proporzionalità, trasparenza e comprensibilità delle soluzioni decisorie; capacità di ascolto delle parti e di tutti i protagonisti della giurisdizione; rispetto della dignità delle persone; sobrietà, riserbo ed equilibrio, anche nei rapporti coi media; rigorosa deontologia professionale; infine, etica del limite e del dubbio.
La raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa n. 12 del 17/11/2010 coniuga decisamente l’indipendenza, interna ed esterna, letta come garanzia di libertà della persona nello Stato di diritto, con i valori dell’efficacia della giurisdizione e della responsabilità dei giudici, in sintonia con le legittime aspettative della comunità con riguardo alla qualità, alla tempestività, alla coerenza e alla prevedibilità degli atti e delle decisioni. Le scelte del costituente in materia di ordinamento giurisdizionale hanno valenza e rilevanza ancora attuali. Il principio d’indipendenza e autonomia della magistratura – da ogni altro potere e dalla stessa volontà popolare – va declinato, tuttavia, secondo nuovi modelli ordinamentali e deontologici che arricchiscano i contenuti dello statuto professionale del magistrato. L’esercizio della giurisdizione va inteso come “servizio” piuttosto che come “potere”, così da implementare, col prestigio e l’autorevolezza della funzione, la legittimazione della magistratura nella società moderna e, nel contempo, la fiducia dei cittadini nello Stato di diritto

 

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