“Se Marco Biagi avesse avuto la scorta non saremmo riusciti a ucciderlo”. Le parole di Cinzia Banelli, “la compagna So” delle Brigate Rosse, risuonarono nell’aula del tribunale di Bologna dove comparve come imputata, in teleconferenza, al processo per l’uccisione del giuslavorista. Condannati gli altri del commando, lei ha beneficiato della protezione dello Stato e ancora oggi vive sotto falsa identità e a nostre spese. Galesi, Lioce, Morandi, Blefari e Melazzi invece, tutti brigatisti assassini che hanno avuto l’onore delle prime pagine. Una vergogna, come ha detto ieri anche il capo della Polizia Franco Gabrielli. Questi, nel corso degli anni, hanno sempre rilasciato interviste e scritto libri, venduti a peso d’oro, dove spiegavano persino come si esercitavano al tiro per massacrare meglio.
Apologia del reato con l’aiuto di giornalisti e testate che, per il mercato, pagano le delittuose testimonianze e ancora oggi le pubblicano sui giornali e in televisione come se fossero delle fiction. Ricordo bene anche l’articolo del settimanale Panorama redatto sulla base di un allarme terrorismo dei servizi segreti e pubblicato qualche tempo prima dell’omicidio del professor Biagi. Affermò allora la Banelli: “Leggemmo l’articolo e capimmo che poteva costituire un problema. Veniva indicata chiaramente una persona come Biagi come possibile obiettivo. Avremmo dovuto fare più attenzione, osservare possibili cambiamenti nella situazione del professore. Dovevamo controllare che non fosse solo. Invece arrivò alla stazione di Bologna da solo”.
Anche io, amica di Marco, leggendo Panorama quel martedì gli telefonai e gli dissi di non esporsi più, ma lui la domenica mattina all’angolo dell’edicola senza che suo padre Giorgio potesse sentire, mi confessò che aveva chiesto la protezione inutilmente. Noi non dimentichiamo che lo Stato non seppe e non sa ancora oggi difendere i suoi servitori leali e coraggiosi e che la mercanzia della stampa permette al diritto “dell’informazione” di pubblicizzare il terrorismo, come ha fatto recentemente Purgatori. È bene ricordare nell’anniversario della morte dell’amico geniale e coraggioso che l’interesse delle Br nei confronti di Marco Biagi iniziò quando quest’ultimo prese a collaborare con il Comune di Milano, con il ‘Patto di Milano’. Lui diventò, poi, un vero e proprio obiettivo nell’estate 2001, “nel momento in cui il Libro Bianco, di cui lui era il principale autore, diventò un obiettivo politico”. La decisione finale di uccidere Biagi, disse allora la Banelli, fu presa nel gennaio 2002. Lo hanno massacrato il 19 marzo 2002 sotto casa. Un’esecuzione di cui lo Stato, anche nei confronti della famiglia deve sentirsi colpevole: non c’è perdono, non si dimentica.