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Migranti e principio di maggioranza secondo Antonio Maria Leozappa

Di Antonio Maria Leozappa
governo

Il problema vero delle politiche di accoglienza sta nel principio di maggioranza. Il nodo è tutto lì. Sino a che punto è dato riconoscere, come vorrebbero alcuni esponenti dei partiti e della società civile, diritti politici ai migranti extracomunitari quando la nostra democrazia si fonda sulla volontà della maggioranza? È evidente, infatti, che dopo la prima fase di sostegno materiale a coloro che fuggono da fame e persecuzioni c’è quella del loro inserimento nella società civile che, a sua volta, apre al riconoscimento dei diritti politici. Non a caso, sul  finire della scorsa legislatura, diversi rappresentanti dei partiti di governo hanno cercato di approvare la legge per attribuire la cittadinanza ai  figli degli immigrati nati in Italia. È facile scommettere che la questione si riproporrà nella nuova legislatura.

Il nostro sistema democratico si basa sul principio di maggioranza. L’Italia invecchia e i migranti, che provengono dall’Africa e dall’oriente, aumentano. In un futuro non lontano, il loro voto potrebbe risultare determinante per eleggere parlamentari o amministratori locali. Diversamente però da quanto accadde con gli europei che migrarono nelle Americhe, non tutti, anzi, non molti dei profughi che si stabiliscono sul suolo italiano si riconoscono nei princìpi e valori dell’occidente. Perché questo avvenga ci vorrà del tempo e non è detto che si verifichi.

Nel 2015, il romanzo fantapolitico Sottomissione di Michel Houllebecq ha immaginato l’ascesa al potere in Francia, con la vittoria delle elezioni presidenziali, di un partito islamico moderato grazie al sostegno di quello socialista (per opporsi a Marine Le Pen). Uno scenario non più impensabile se si tiene presente che, in Francia, sono almeno due le elezioni presidenziali (Chirac e Macron) nelle quali la sinistra e la destra sono state costrette a schierarsi insieme per battere il Front national. Sempre Sottomissione ha reso evidente come il principio di maggioranza – diversamente da quanto si è soliti professare– non possa essere considerato lo strumento per far emergere la volontà (positiva) della maggioranza degli elettori che condividono una determinata concezione della vita. Nella società liquida è altamente probabile che dia espressione alla volontà (negativa) di coloro che si oppongono a un determinato candidato, che, pur di non farlo prevalere, accettano di eleggere l’avversario “turandosi il naso” (l’espressione montanelliana, purtroppo, mantiene ancora tutta la sua attualità).

Cosa accadrà, allora, quando ai migranti, che giungono in Italia non per scelta vocazionale ma perché fuggono dalle loro terre martoriate, sarà dato il diritto di voto? Sia chiaro, qui non è in discussione il principio che, sussistendo i requisiti formali che si andranno a stabilire, i profughi (integrati) debbano avere il diritto di voto, ma piuttosto il fatto che la libertà di voto, quella di opinione e di religione, su cui si basa la società occidentale, non sono in grado di garantire che le elezioni esprimano un governo che preservi dette libertà, come da tempo ha denunciato Ernst-Wolfgang Bockenforde.

Naturalmente, tale constatazione non vale solo per i migranti, ma per qualunque altro movimento, civile e politico, che non si riconosce nei principi della democrazia occidentale. Ma per i migranti la questione si fa più problematica, perché attualmente non hanno il diritto di voto. E, dunque, quando si ragiona sui requisiti per riconoscerlo, non può essere ignorata ma, anzi, dovrebbe essere posta al centro della riflessione. Diritto di voto verso libertà di opinione. Un dilemma che scuote la coscienza. La soluzione è da ricercare senza pregiudiziali prese di posizione, forse proprio rafforzando, a livello costituzionale, il principio di maggioranza quantomeno sulle cosiddette decisioni di sistema al  fine di evitare che possano essere assunte da politici non adeguatamente rappresentativi della civiltà italiana. In ogni caso, l’unico errore da scongiurare è quello di far  finta che il problema non sussista.

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