Pubblichiamo la prefazione firmata dal sacerdote gesuita, già direttore della sala stampa vaticana, al libro “Francesco. Il Papa delle prime volte – Tutte le sorprese di Bergoglio”, Edizioni San Paolo, dei giornalisti Gerolamo Fazzini e Stefano Femminis
È bene ricordare che il pontificato di Francesco inizia nella situazione del tutto particolare che segue la rinuncia di Papa Benedetto, atto di vera novità storica – coraggioso, lucido, sereno, lungimirante –, che ha inteso aprire alla Chiesa e allo Spirito che la guida uno spazio di slancio rinnovato, di cui si avvertiva il bisogno e a cui le forze declinanti dell’anziano Pontefice non erano più adeguate.
La riflessione previa del Collegio cardinalizio mette a fuoco il contesto ecclesiale e storico-culturale e le caratteristiche desiderate nel nuovo Papa, mentre la deliberazione in Conclave giunge rapidamente e con ampio consenso alla scelta della persona cercata. La presenza dello Spirito nel corso di questo processo si manifesta in modo particolarmente chiaro nella pace spirituale che – secondo la testimonianza di Francesco – accompagna in modo inspiegabile ma evidente l’eletto durante il maturare dell’elezione. Chi conosce le “regole per il discernimento degli spiriti” degli Esercizi di sant’Ignazio sa bene che la pace e la consolazione sono segni inconfondibili dell’operare dello “spirito buono”.
Anche nel seguito di questi primi anni di pontificato si può riscontrare l’incontro dell’esperienza umana con i segni dell’opera dello Spirito. La straordinaria e inattesa energia che si manifesta nell’attività del nuovo Papa non trova altra spiegazione – anzitutto per lui stesso – se non nella “grazia di stato”, che lo sostiene e accompagna nell’affrontare la nuova missione. Diversi testimoni possono attestare la serenità sostanziale che continua ad essere con lui anche nei momenti in cui decisioni difficili o tensioni potrebbero essere causa di comprensibile turbamento.
La tranquilla fiducia nell’accompagnamento dello Spirito è una sorgente molto abbondante di libertà interiore, che si traduce subito nella libertà esteriore e nella spontaneità innovatrice di numerosi gesti e comportamenti, nei quali non vi è ombra di calcolo o di artificio. Francesco si sente libero di essere “normale”, di “essere se stesso” senza particolari vincoli di protocollo, si sente libero di esprimersi nel colloquio o in conversazioni pubbliche, di prendere iniziative di incontri e rapporti personali anche originali, se vi vede un’occasione di servizio apostolico.
I pontificati precedenti, in particolare i due ultimi, di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, legati da un’evidente continuità, avevano portato alla Chiesa un forte contributo di approfondimento e consolidamento dottrinale, sulla base del Concilio Vaticano II a cui ambedue avevano partecipato e in rapporto a molti temi resi urgenti dall’evoluzione culturale moderna. Questo processo si era espresso in un numero considerevole di importanti documenti magisteriali, ma anche – in un senso che vorrei dire “simbolico” – nelle due notevoli sintesi del Catechismo della Chiesa Cattolica e del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. Papa Francesco, primo Papa a non aver partecipato al Concilio, assume questo corpus dottrinale come fondamento solido, profondamente acquisito, sulla cui base e a partire dal quale muoversi. In molte occasioni in cui viene interrogato su presunte novità più o meno “rivoluzionarie” del suo insegnamento, risponde con decisione che «è figlio della Chiesa» e rimanda appunto al Catechismo e alla dottrina sociale della Chiesa. In particolare riferendosi ai suoi famosi discorsi ai movimenti popolari dice che si tratta di una «catechesi» di tale dottrina. Ciò non gli impedisce naturalmente di fare dei passi in avanti anche rilevanti, ma sempre in continuità evidente con i predecessori (ad esempio, l’enciclica Laudato si’ trova molte anticipazioni nella Caritas in veritate).
Diversi capitoli e contributi del libro mettono bene in luce che la novità è quindi da vedere piuttosto nella prospettiva pastorale-missionaria del pontificato di Francesco e nella sua ispirazione radicalmente ed esplicitamente evangelica. È quanto egli esprime molto chiaramente fin dai primi mesi nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium parlando della «trasformazione missionaria della Chiesa» a partire dal «cuore del Vangelo». L’annuncio, per arrivare a tutti senza eccezioni né esclusioni, si deve concentrare sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario (n. 35).
La «gerarchia delle verità» di cui parlava il Concilio, che sa distinguere e mettere nel giusto ordine ciò che è più e ciò che è meno fondamentale, viene individuata con sicurezza ed espressa con evidenza in tutto l’insegnamento di Francesco. Il suo centro si trova nel messaggio della misericordia e del perdono, che brilla soprattutto nel Giubileo straordinario, che ha davvero caratteri di novità. In esso si sono moltiplicate le “prime volte”, come l’indimenticabile apertura della Porta Santa a Bangui; da esso continuano a venir generate nuove “prime volte”, come la Giornata mondiale dei poveri o la serie sempre aperta dei “Venerdì della misericordia”.
Ciò che da subito mi apparve una delle maggiori novità del pontificato di Francesco (anche perché mi toccava molto concretamente nel servizio quotidiano di comunicazione alla Radio Vaticana e alla Sala Stampa) è stata la messa feriale quotidiana a Santa Marta. Quella breve omelia pronunciata “a braccio” divenne immediatamente uno dei punti di riferimento per la riflessione del popolo cristiano in innumerevoli punti del mondo. Io ero e rimango un grandissimo ammiratore delle omelie di papa Benedetto, che ho considerato e definito spesso “sublimi” nella loro sintesi di pensiero teologico e spirituale, vera “mistagogia” che ci introduce nella profondità del mistero da contemplare e custodire nel cuore per poi tradurlo in vita. Ma non posso negare che le omelie “dialogiche” di papa Francesco, che mentre parla ci vuole guardare negli occhi, ci mettono direttamente a confronto con la parola viva di Gesù, cosicché il Vangelo entra subito in rapporto con la vita concreta nostra e della gente comune. Naturalmente, gira e rigira, è sempre il Vangelo della misericordia.
Il discorso si sviluppa in tutti quei gesti e comportamenti di “prossimità” con cui si può inanellare un racconto interminabile, ma che hanno evidentemente una stessa ispirazione e uno stesso significato, perché la prossimità che esprimono è sempre quella di Dio e del suo amore. Sono gesti che somigliano molto a quelli di Gesù, in particolare verso i malati, i piccoli, i poveri, i sofferenti, i carcerati; sono di solito immediatamente espressivi, cioè facili da capire per tutti, siano o no membri della Chiesa, siano o no credenti. Attraverso parole, gesti e immagini, il messaggio va lontano, supera in modo sorprendente confini culturali e distanze oceaniche.
Così il discorso tante volte avviato sulla “nuova evangelizzazione” assume un tono assai più concreto. Francesco non parla tanto della nuova evangelizzazione: la fa. In certo modo sembra svelarci un segreto: anche oggi, nel mondo globalizzato e tecnologico, l’evangelizzazione si fa con il Vangelo!
Chi rilegge il Vangelo non può non accorgersi che poveri, piccoli, sofferenti sono continuamente nel cuore di Gesù. La frequenza e l’intensità con cui papa Francesco ritorna a parlarne non può non colpire. Ma non è una sua ossessione personale, né una forzatura in senso sociale o politico del messaggio cristiano. È semplicemente il Vangelo che lo esige. In ciò manifesta una forza permanente capace di sconvolgere e capovolgere le prospettive dei sistemi e delle società in cui avere, potere, successo orientano le priorità e i criteri di valutazione prevalenti e abituali. Bisogna guardare al nostro mondo dal centro o dalle periferie? Tutto questo è immediatamente evocato fin dalla scelta del nome: … qui sibi nomen imposuit Franciscum. Chiamarsi Francesco, questa sì che è stata una “prima volta” importante. Ricordo che ne rimasi immediatamente folgorato. Da secoli, nessun altro nome scelto da un Papa era stato un messaggio così chiaro e forte. Ci voleva davvero un bel coraggio, la convinzione che lo Spirito lo avrebbe assistito nel seguire Gesù da vicino.
Non so se i cardinali nel marzo del 2013 ne fossero proprio consapevoli e cercassero tutto questo. Certamente, armandosi del coraggio necessario per guardare per la prima volta oltre l’Oceano Atlantico non cercavano solo di dare una soddisfazione un po’ campanilistica al continente dove oggi vive il maggior numero di cattolici, ma cercavano giustamente di innestare nel servizio petrino un tralcio portatore di energia nuova, un’esperienza ecclesiale matura e vivace, in grado di dare nuova fecondità al tronco antico. Le Chiese “giovani” hanno molto da dare alla Chiesa universale. In fondo, tutti abbiamo osservato che il manifesto del nuovo pontificato, la Evangelii Gaudium, è il frutto dell’innesto del documento di Aparecida sul tronco dell’Evangelii nuntiandi di Paolo VI. La riflessione e la tensione missionaria della Chiesa dell’America Latina, giunta a maturità dopo le tensioni di decenni passati, ravvivano oggi la grande prospettiva conciliare dell’evangelizzazione del mondo contemporaneo mirabilmente formulata da papa Montini.
Il “popolo di Dio” in cammino di cui ci parlava il Concilio, sulle labbra di papa Francesco diventa così il «santo popolo fedele di Dio» – come si esprimeva Bergoglio in una famosa omelia ad Aparecida (16 maggio 2007) – costituito da «noi popolo e pastori», che «costruiamo la Chiesa insieme, o meglio siamo strumenti dello Spirito che la costruisce». Ce ne rendiamo conto quando sulla loggia di San Pietro vediamo Bergoglio divenuto Francesco, vestito di bianco, chiedere la benedizione al popolo fedele della sua nuova diocesi di Roma, chinando la testa e dicendo: «E ora cominciamo questo cammino, vescovo e popolo!». Questa sì che, a Roma, è una “prima volta”!
Proprio grazie a queste parole anche il cammino ecumenico, che ha già visto numerosissime “prime volte” durante ogni pontificato a partire dal Vaticano II, può riprendere con nuovo entusiasmo e continuare ad annoverarne molte altre: con il Patriarca russo, con i valdesi, con il viaggio ecumenico a Lesbo, con la commemorazione della Riforma e così via. Analogo discorso potrebbe farsi per il dialogo con le altre religioni, in cui Francesco non ha bisogno di essere il primo a varcare le soglie di sinagoghe e moschee – fatti per fortuna ormai “normali” – ma sa anche qui portare il segno del suo contributo originale e coraggioso, come avviene con il triplice abbraccio davvero inedito con il rabbino e il musulmano davanti al Muro del Pianto, o con la preghiera con i Presidenti di Israele e dell’Autorità palestinese nei giardini vaticani, insieme al “fratello” Patriarca Bartolomeo.
Ma soprattutto il cammino comune di vescovo, vescovi e popolo diventa sempre più partecipativo e coinvolge sempre più tutti i pastori e tutte le diverse componenti del popolo. Insieme a “collegialità”, su cui aveva già molto insistito il Concilio, ora anche “sinodalità” – che vuol dire appunto “camminare insieme” – diventa quindi una delle parole chiave del pontificato. Ma soprattutto non bisogna dimenticare che questo camminare insieme dev’essere guidato dallo Spirito. Questo comporta una disposizione a lasciarsi guidare, ma anche una ricerca partecipata, attenta e continua della volontà di Dio. Il modo e l’insistenza con cui Francesco parla del “discernimento” e del suo esercizio a tutti i livelli della vita della Chiesa, dalla pastorale alla vita cristiana personale, è caratteristico, ed è nuovo da parte di un Papa. È certamente nuovo, non nella dottrina ma nell’approccio pastorale, il modo in cui nell’esortazione post-sinodale Amoris laetitia viene affrontata la problematica delle situazioni familiari difficili o non rispondenti alle norme della Chiesa. È caratteristico di un’impostazione del rapporto fra la dottrina e la coscienza che rifiuta soluzioni rigide e semplicistiche in bianco e nero. Invece impegna a un cammino di ricerca paziente e fiduciosa della volontà di Dio, con l’accompagnamento pastorale della Chiesa, nelle situazioni concrete e per le vie percorribili, senza rimanere prigionieri di schematismi astratti e legalistici.
Così si evita che si venga a creare gradualmente un abisso fra dottrina e vita, fra dottrina e prassi pastorale. Mettere a fuoco l’importanza del discernimento, del dialogo con lo Spirito al centro della vita concreta della persona e della comunità, significa lanciare una sfida enorme alla pastorale della Chiesa. In questo ha certamente un peso la provenienza di Bergoglio dalla Compagnia di Gesù. In fondo è la prima volta che un Papa è gesuita.
Gli autori del libro hanno fatto l’interessante e utile fatica di raccogliere una larghissima messe di informazioni e considerazioni sugli aspetti innovatori del pontificato attuale. Questo ci conduce a una riflessione attenta su quali novità siano reali e quali apparenti, quali più importanti e quali meno, quali più radicali e all’origine delle altre e così via. Ci rendiamo così conto che Francesco – per fortuna sua e nostra – può costruire su basi precedenti solide e può contare sullo Spirito che lo accompagna. Non deve inventare il Sinodo dei Vescovi (ci ha già pensato Paolo VI), non deve cominciare l’internazionalizzazione del Collegio dei cardinali (lo ha già fatto Pio XII dalla fine della seconda guerra mondiale), non deve fare la prima riforma della Curia romana (ne hanno già fatte due Paolo VI e Giovanni Paolo II), non deve cominciare a viaggiare per il mondo (ha già cominciato Paolo VI, e Giovanni Paolo II resterà imbattibile) e così via.
Molte piste sono aperte, su cui può continuare a lavorare con l’energia, lo slancio e la creatività che Benedetto XVI gli augurava prima ancora che fosse eletto. Però certamente un Papa che viene dalla viva esperienza ecclesiale dell’America Latina, a cui lo Spirito infonde il coraggio di chiamarsi Francesco per riannunciare ai poveri la buona notizia del Vangelo della misericordia, che porta con sé il “sentire” ignaziano delle preferenze dello Spirito nella ricerca continua della volontà di Dio lungo il cammino… bene, questo Papa ha certamente già fatto fiorire molte cose buone e nuove sul solido e antico tronco della vite del Signore, e ci auguriamo che continuerà a farlo.
Edizioni San Paolo, “Francesco. Il Papa delle prime volte – Tutte le sorprese di Bergoglio” di Gerolamo Fazzini e Stefano Femminis, pp. 264, euro 16, 2018