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Il Pd pochi lo votano ma tutti lo vogliono (dopo). Il pressing per l’alleanza con Di Maio di Scalfari (e Travaglio)

pd

Sconfitti ma centrali. Il destino cinico e baro sembra voler affliggere il Partito democratico che dal giorno dopo le elezioni fa fatica a ritrovare la sua bussola. Il paradosso è doppio. Per un verso ha perso sonoramente nelle urne ed ora è attratto dalle sirene degli avversari che l’hanno sconfitto. Per altro verso, si trova nella condizione di poter tornare a contare e al tempo stesso sapere che si tratta del canto del cigno, l’ultimo con molte probabilità. Che fare, dunque?

Matteo Renzi ha molti difetti (che prima nessuno notava e che ora tutti denunciano) ma non fa difetto di chiarezza. La sua linea è: stiamo all’opposizione e da lì torneremo alla carica. Il partito, e soprattutto gli eletti, non si fidano. Il canto delle sirene poi è forte, fortissimo. Poiché, si sa, è  dai tempi del Pci che a sinistra c’è il riflesso automatico di non volere concorrenza alla propria sinistra, il Movimento 5 Stelle esercita un fascino particolare. Il ministro Orlando, pur negando di voler fare accordi, già precisa che i grillini non vanno demonizzati. Da qualche parte bisogna iniziare.

A fare da portavoce dell’idea di alleanza fra Pd derenzizzato e Di Maio è Eugenio Scalfari. Il fondatore di Repubblica reo di avere endorsato Berlusconi (meglio del leader di Pomigliano) vuole farsi perdonare e torna nel politically correct, si fa per dire. La sua dichiarazione ha aperto un varco, inevitabilemente. “Un tempo li consideravo uguali. Nel senso che non si votano. Perché erano al centro uno della chiusura e l’altro del populismo, il movimento grillino. Oggi tra Salvini, che è quello di prima, e Di Maio che sembra radicalmente cambiato, sceglierei Di Maio”. Parole di Eugenio Scalfari che, intervistato da Giovanni Floris a Di martedì, con lievità spiega: “Di Maio ha dimostrato un’intelligenza politica notevole, perché di fatto il Movimento è diventato un partito. Lui addirittura ha steso la lista dei ministri e l’ha voluta portare al Quirinale”. Ancora: “Facendo un’alleanza con il Pd – continua Scalfari – non è che ci sono due partiti, diventa un unico partito, Di Maio è il grande partito della sinistra moderna. Allora la faccenda cambia, se lui diventa la sinistra italiana voterò per questo partito”. “Se questo partito (quello che nascerebbe dall’alleanza Pd-M5S, ndr) diventa un partito di maggioranza assoluta, Mattarella ha un governo che ha la maggioranza assoluta. Renzi ha detto no, ma Di Maio non parla di alleanza con Renzi ma di alleanza con il Partito Democratico. Il Pd è in uno stato di abbattimento, l’abbattimento porta alla confusione. Il Pd – conclude il fondatore di Repubblica – è un partito confuso”.

È vero che si potrebbe ironizzare sulla fortuna che solitamente accompagna i baci di Scalfari agli interessati però il rischio sarebbe di buttarla in gossip. La questione invece è politica ed è strategica. Il giornalista – che resta in ogni caso una icona inossidabile della sinistra italiana – ha espresso una opinione non isolata nei Dem e basta leggere il quotidiano diretto da Marco Travaglio per cogliere chiaramente il lavoro di tenaglia che è in corso. Vuoi mettere allearsi con il Caimano e con il Fascista invece che purificarsi nelle acque catartiche di Beppe Grillo?

Il richiamo è forte e la tentazione la si vede ad occhio nudo. D’altronde però non va omesso il caso di Michele Emiliano. Il presidente della Regione Puglia è coerentemente impegnato da anni a spiegare le ragioni per cui il Pd debba essere accanto ai 5 Stelle. Appena eletto aveva offerto persino un assessorato che il Movimento ha sdegnosamente rifiutato (onore al merito!). Il risultato politico di Emiliano? È stato annientato elettoralmente dai grillini cui vuole tanto bene che finirà per consegnargli l’intera amministrazione regionale senza neppure allearcisi. Un genio. Ma anche un esempio del rischio concreto che i democratici corrono di essere completamente fagocitati da Di Maio e i suoi. Da ultimo, non può non essere annotato che – a fronte di uno Scalfari che influenza dall’esterno – ora nel Pd è arrivato un inquilino non qualsiasi. Carlo Calenda non correrà per la segreteria ma difficilmente se ne starà silente ad osservare il suicidio del partito. La partita del Nazareno non è ancora iniziata e prima di assicurare l’alleanza con il M5S varrebbe la pena fare qualche riflessione in più.

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