Come mossa tattica, la formazione di un unico gruppo parlamentare in entrambe le Camere potrebbe senz’altro giovare al centrodestra, almeno nell’immediato, favorendo l’ipotesi di un incarico esplorativo alla coalizione – e non al partito – che ha raccolto più voti e più seggi. Tuttavia, l’iniziativa potrebbe, più in là, rivelarsi a doppio taglio. Molti sono, malgrado le scontate affermazioni in contrario degli interessati, gli ambiti nei quali Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno convinzioni divergenti, e doverle sostenere con una voce unica creerebbe imbarazzo e fratture.
Potrebbero gli “azzurri” digerire le prevedibili dichiarazioni critiche di Matteo Salvini o di qualcuno dei suoi sulle politiche dell’Unione europea, che Silvio Berlusconi aveva assicurato a Merkel & Co. di mettere da parte? E se accadesse l’opposto, che immagine di coerenza – tasto su cui Salvini ha insistito fino allo sfinimento in campagna elettorale – darebbe la Lega ai suoi elettori?
Avere gruppi distinti ammortizzerebbe i distinguo, evitando di far degenerare le prevedibili (oserei dire inevitabili) frizioni future in vere e proprie fratture. Senza poi considerare che gli eventuali “soccorsi esterni”, che lunedì Renato Brunetta dava per scontati, dichiarando in tv che ci sarebbe stata “la fila” dei deputati e senatori pronti ad arruolarsi come truppe di complemento dell’armata non più a guida berlusconiana, poco e nulla si concilierebbero con i sonori “no ai transfughi” salviniani, anch’essi riversati a iosa sugli elettori nelle settimana di campagna.
Insomma: far finta di stare tutti insieme appassionatamente farebbe più danni dell’ammettere di voler condurre in porto, finché sarà possibile, un decente matrimonio di convenienza – quale è quello fra un centro liberal-conservatore (FI), una destra nazionalista (Fd’I) e un populismo ben poco interessato alla disputa sinistra/destra (Lega).