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Perché non sono maturi i tempi di un centrodestra unito. Parla Marco Tarchi

Di Marco Tarchi
centrodestra berlusconi

Come mossa tattica, la formazione di un unico gruppo parlamentare in entrambe le Camere potrebbe senz’altro giovare al centrodestra, almeno nell’immediato, favorendo l’ipotesi di un incarico esplorativo alla coalizione – e non al partito – che ha raccolto più voti e più seggi. Tuttavia, l’iniziativa potrebbe, più in là, rivelarsi a doppio taglio. Molti sono, malgrado le scontate affermazioni in contrario degli interessati, gli ambiti nei quali Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno convinzioni divergenti, e doverle sostenere con una voce unica creerebbe imbarazzo e fratture.

Potrebbero gli “azzurri” digerire le prevedibili dichiarazioni critiche di Matteo Salvini o di qualcuno dei suoi sulle politiche dell’Unione europea, che Silvio Berlusconi aveva assicurato a Merkel & Co. di mettere da parte? E se accadesse l’opposto, che immagine di coerenza – tasto su cui Salvini ha insistito fino allo sfinimento in campagna elettorale – darebbe la Lega ai suoi elettori?

Avere gruppi distinti ammortizzerebbe i distinguo, evitando di far degenerare le prevedibili (oserei dire inevitabili) frizioni future in vere e proprie fratture. Senza poi considerare che gli eventuali “soccorsi esterni”, che lunedì Renato Brunetta dava per scontati, dichiarando in tv che ci sarebbe stata “la fila” dei deputati e senatori pronti ad arruolarsi come truppe di complemento dell’armata non più a guida berlusconiana, poco e nulla si concilierebbero con i sonori “no ai transfughi” salviniani, anch’essi riversati a iosa sugli elettori nelle settimana di campagna.

Insomma: far finta di stare tutti insieme appassionatamente farebbe più danni dell’ammettere di voler condurre in porto, finché sarà possibile, un decente matrimonio di convenienza – quale è quello fra un centro liberal-conservatore (FI), una destra nazionalista (Fd’I) e un populismo ben poco interessato alla disputa sinistra/destra (Lega).

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