I dazi di Donald Trump su acciaio e alluminio potrebbero mettere in difficoltà l’industria americana del comparto aerospazio e difesa, sia per i disagi che creerebbero alla catena di fornitura, ormai globalizzata, sia per l’effetto (in parte già manifestato) che avrebbero nei rapporti con gli alleati.
I DAZI DI TRUMP SECONDO FANNING
Dopo le rimostranze già piovute da mezzo mondo contro il decreto firmato dal presidente degli Stati Uniti, il nuovo allarme arriva da Eric Fanning, numero uno dell’Aerospace industries association (Aia), l’organizzazione che riunisce le industrie americane del settore aerospazio e difesa. Con un passato da segretario dell’US Army durante l’amministrazione Obama, Fanning ha spiegato a Defense & Aerospace Report i timori relativi agli annunciati dazi su alluminio e acciaio, rispettivamente del 10 e 25%, giustificati da Trump proprio per ragioni di sicurezza nazionale. Nell’idea del presidente, infatti, le cospicue importazioni di questi materiali potrebbero rendere presto gli Stati Uniti non autosufficienti nella produzione di armamenti, elemento che preoccupa in caso di eventuali conflitti. Stranamente però, le nuove tariffe proprio non vanno giù a chi quegli armamenti li produce.
L’AUMENTO DEI COSTI
L’ipotetica tutela della sicurezza nazionale, infatti, non giustifica secondo Fanning una decisione che potrebbe avere effetti negativi notevoli sulla competitività del comparto. La prima preoccupazione del presidente e ceo dell’Aia riguarda l’impatto dei dazi sui costi dei prodotti, che aumenterebbero almeno fino a quando non si svilupperà un’industria siderurgica interna che sia competitiva quanto lo sono oggi quelle di altri Paesi da cui gli Usa importano (Messico, Canada, Unione europea e Corea del Sud su tutti). “Siamo preoccupati dell’effetto dei dazi sulla catena di fornitura: quale costo avrà, quale ricadrà sui clienti e cosa potrebbe comportare in termini di disagi se le aziende della nostra filiera fossero costrette a trovare nuove fonti di acciaio e alluminio durante il periodo di transizione”, ha spiegato Fanning. “Questa confusione potrebbe rallentare le cose – ha aggiunto – e alla fine si tradurrebbe in un aumento dei costi”.
L’EFFETTO RAPPRESAGLIA
A questi timori se ne aggiungono altri ancora maggiori relativi alla dimensione politica internazionale. “La vera paura che abbiamo è la rappresaglia”, ha detto Fanning. “L’industria dell’aerospazio e della difesa è il maggiore contributore del nostro surplus commerciale nel settore manifatturiero, per quasi 86 miliardi di dollari all’anno. Questo dipende dall’export e se gli altri Paesi, molti dei quali sono nostri alleati, decidessero di reagire negativamente contro queste tariffe, ciò potrebbe davvero prosciugare il mercato per alcuni prodotti e, ancora una volta, i prezzi per noi aumenterebbero”, ha ammonito il numero uno dell’Aia. In altre parole, i dazi avrebbero “ripercussioni negative sulle alleanze, sui rapporti, sulla fiducia negli Stati Uniti” e interromperebbero “una catena di fornitura che è globale e che si basa su alleati in tutto il mondo”. Se si applicano i dazi in modo generalizzato, ha ammonito Fanning, “rischiamo la rappresaglia dall’altra parte sui posti di lavoro e sui prodotti che vogliamo vendere all’estero”.
TRA NERVOSISMI E CAUTELA
Ad ora c’è da dire che in realtà la proposta di Trump non sembra del tutto generalizzata. Oltre all’esenzione per Canada e Messico (legata all’intenzione di rivedere gli accordi Nafta), i 15 giorni di attesa prima che le misure diventino effettive paiono pensati per dare il tempo di trovare accordi con tutti i coinvolti, soprattutto con gli alleati storici. E se l’idea di esentare “i veri amici” sembra incoraggiante nella prospettiva di un dialogo con l’Unione europea, crea maggiori timori il fatto che Trump annoveri in questa speciale categoria gli alleati Nato (molto pochi) che rispettano la quota del 2% del Pil destinato alla difesa. Ad ogni modo, nonostante piccate reazioni siano già arrivate da Bruxelles, Parigi, Berlino, Tokyo, Pechino e Seul, c’è l’impressione che una guerra commerciale non convenga a nessuno. Lo scorso lunedì era stata la presidente e ceo del colosso del comparto Lockheed Martin, Marillyn Hewson, a mostrare una certa cautela sulla questione dei dazi, affermando di voler studiare cosa avennero significato per l’azienda. Certo, nella stessa occasione, la manager con un passato non proprio idilliaco con Trump (il quale , appena eletto, aveva criticato gli alti costi dell’F-35) ne ha approfittato per mandare un chiaro messaggio all’amministrazione, chiedendo di puntare non su una guerra commerciale, quanto “su concorrenza e libero mercato”.