Sempre più spesso si parla di polarizzazione: dei redditi, di classi sociali, di professioni, dei lavori. In sostanza, forbici che dividono destini di appartenenza.
Quando si parla di polarizzazione, potremmo anche dire di verticalizzazione di classe, molto spesso ci si riferisce a quella economica e dunque alle grandi disuguaglianze che a mano a mano si stanno affermando nel nostro Paese.
Una persona su 4 è a rischio povertà.
Un fatto che viene sottovalutato, se ne parla en passant, quasi in sordina. E come mai? Un dato che andrebbe urlato, invece shhh, fate piano che poi la gente si accorge che è povera veramente. C’è infatti un mutuo assenso in atto da parte di chi ci riporta quei dati, proprio loro poi, i primi a essere ormai inseriti in una tra le classi più disagiate. Altro che giornalismo, meglio chiamarlo giornaservilsimo.
Per Carmelo Bene “i giornalisti sono impermeabili a tutto. Arrivano sul cadavere caldo, sulla partita, a teatro, sul villaggio terremotato, e hanno già il pezzo incorporato. Il mondo frana sotto i loro piedi, s’inabissa davanti ai loro taccuini, e tutto quanto per loro è intercambiabile: letame da tradurre in un preconfezionato compulsare di cazzate sulla tastiera. Cinici? No: frigidi.”
Il fatto curioso è che non c’è ammissione di colpa, ma una imperterrita promozione e reiterazione della vergogna.
La nostra società è la società del silenzio, quella che giustifica ampiamente la vergogna fino all’abolizione della stessa, ma non tollera la colpa. E una società senza vergogna, quindi permissiva, permette qualsiasi proiezione delle immagini del sé: narcisistica, funzionale solo all’autopromozione di se stessi e della fantarealtà, quella disegnata a tavolino magari sotto dettatura del potere più forte. Basta sfogliare nelle diapositive di qualche testimonial o modificare gli album del passato per dare un tocco diverso alla regia della vita.
Non conta la tua vera essenza, l’importante è la tua migliore rappresentazione, quindi la tua migliore performance dell’immagine. Questo causa un bel problema, innanzitutto umano perché non sono ammessi down personali o sociali, in quanto parte del negativo da evitare. Pensiamo per un attimo alla bellezza e su quanto la gente non ammetta l’invecchiare e a tutti i rimedi che si ricorrono per arrestare il tempo. Conta l’immagine, sempre, comunque e a ogni costo.
Anche Dorian Gray non ammetteva il naturale passaggio alla vecchiaia, il suo aspetto doveva rimanere immutato come in una istantanea perpetua: “La giovinezza è l’unica cosa che valga la pena possedere” e “la morte è l’unica cosa che riesce a spaventarmi. La detesto perché oggi si può sopravvivere a tutto tranne che a lei”.
Un desiderio di idealità di se stessi forse inconscio insito in ogni uomo, che non vuole accettare l’approssimarsi dell’ora definitiva, anch’essa cancellata dalla società insieme alla vecchiaia. Ma se prima era impossibile arrestarla, ecco che oggi le moderne tecniche a disposizione riducono appunto i down. E con i down, un’altra volte viene eliminata la vergogna che ne deriverebbe, quella di essere vecchi in un mondo di eterni giovani.
Esistono quindi infiniti mondi che non combaciano con la realtà dei fatti. E chi dovrebbe essere il testimonial del proprio tempo – i giornalismi e quindi le grandi narrazioni – riflette alla perfezione l’alterazione e mistificazione in atto.
È umiliante assistere alla mortificazione di una categoria che sta distruggendo se stessa, complice una mutua accettazione. Per esempio, se guardiamo il carteceo, le copie vendute sono drasticamente crollate in questi ultimi anni, un’inversione di tendenza non imputabile solamente alla digitalizzazione in atto perché riguarderebbe anche il mercato dei libri, attualmente in inversione di tendenza con un fatturato in aumento.
Stando ai dati sul 2017 dell’Associazione Italiana Editori (considerando libri di carta, ebook e audiolibri e non i ricavi dovuti ai libri scolastici, scientifici, tecnici e medici, nemmeno quelli relativi alla vendita di diritti all’estero e di banche dati e le copie vendute attraverso Amazon, che non fornisce i propri dati all’AIE) il fatturato delle case editrici è aumentato del 5,8% rispetto al 2016, pari a 1,485 miliardi di euro. I libri venduti sono stati 88,6 milioni, l’1,2 per cento in più rispetto al 2016, e sebbene la vendita online guadagni terreno, le librerie fisiche rimangono i punti vendita prediletti.
Che sta accadendo dunque al nostro giornalismo? Molti giornalisti ormai vivono alla mercé della precarietà e dello sfruttamento, otto su dieci sono sotto la soglia di povertà: “Una situazione devastante. Una grossa fetta degli iscritti all’Ordine percepisce uno stipendio lordo annuo inferiore ai 10mila euro e quindi al di sotto della soglia di povertà”, queste le parole di Nicola Marini, presidente nazionale dell’Ordine dei Giornalisti.
E allora che rimane di questa professione, tra pagamenti fatti a suon di click, articoli “pagati” 5 euro e una confusione sui contratti e metodi dubbi di pagamento? chi può permettersi oggi di fare il giornalista? Ecco spiegato perché il vero giornalismo sarà sempre più borghese.
[foto: la macchina da scrivere insetto de Il pasto nudo (mostra “Evolution” presso Fondazione Ragghianti di Lucca), film diretto da David Cronenberg e ispirato al romanzo Pasto nudo di William S. Burroughs]