Tutt’altro che intimidito dallo strike occidentale della scorsa settimana, il regime siriano prosegue in queste ore, insieme ai russi, la sua offensiva volta a riconquistare le ultime aree del Paese ancora controllate dai ribelli. Nei confronti di queste ultime sacche di resistenza, i lealisti stanno impiegando i medesimi metodi usati nella Ghouta orientale: assedio ad oltranza, per impedire i rifornimenti e l’arrivo di cibo e medicine, al fine di costringere i ribelli ad accettare un accordo di evacuazione, in base al quale i miliziani vengono trasferiti nel nordovest del paese, ultima ridotta in cui le opposizioni possono ancora muoversi in libertà.
Il presidente Bashar al-Assad sembra dunque seriamente intenzionato a mantenere la sua promessa di riconquistare “ogni centimetro quadrato” della Siria. Ne è consapevole il leader dell’opposizione moderata Nasr al Hariri, che ieri in una conferenza stampa nella capitale saudita Riad ha accusato Damasco di cercare esclusivamente una soluzione militare. “Il regime sta premendo per una soluzione militare”, ha detto Hariri, “e continua con la sua strategia militare senza alcuna serietà per quanto concerne i negoziati o il raggiungimento di un accordo politico”.
Ieri è stato un giorno positivo per le truppe di Assad, che sono entrate in una delle enclave controllate da anni dai ribelli: è la città di Dumayr, che sorge a nordest di Damasco, a breve distanza da Douma, il villaggio colpito dall’attacco chimico del 7 aprile. La televisione di stato ha mostrato in diretta immagini di poliziotti e forze di sicurezza che facevano il loro ingresso in città, tra i festeggiamenti della popolazione che esibiva la bandiera nazionale ed inneggiava ad Assad. I ribelli dell’Esercito dell’Islam, gli stessi che controllavano Douma, avevano abbandonato la città poche ore prima a bordo di bus forniti dal governo, e si sono ricongiunti con i miliziani che avevano evacuato Douma il 7 aprile nella città di Jarablus.
Said Seif, un ufficiale del gruppo ribelle Martiri di Ahmad Abdo ha detto che non avevano altra scelta se non arrendersi, accettare l’accordo mediato dai russi e partire. “Noi speriamo che i russi mantengano le loro promesse”, ha detto Seif a Reuters, “anche se non abbiamo alcuna fiducia in loro”. Si stima che a lasciare Dumayr siano state almeno cinquemila persone, di cui 1.500 combattenti.
Dumayr, che fino a poco tempo fa era oggetto di un cessate il fuoco informale, è una località strategica per il regime perché il suo controllo permette di garantire la sicurezza dell’autostrada Damasco-Baghdad, da cui transitano le merci e le armi fornite dall’Iran all’alleato Assad.
Un analogo accordo viene negoziato in queste ore dai russi con i ribelli che controllano diverse città nei pressi dei monti Qalamoun, anch’esse coperte fino a poco tempo da un cessate il fuoco. Identica situazione si registra nella città di Rastan, nella Siria centrale.
Più problematica, per il regime, si rivelerà la liberazione del campo profughi di Yarmouk, a sud di Damasco, dove stazionano da anni combattenti dello Stato Islamico in mezzo a migliaia di rifugiati palestinesi. Martedì il quotidiano filo-governativo al-Watan ha riferito che il regime ha dato 48 ore di tempo ai miliziani per ritirarsi. “Se si rifiutano”, ha scritto al-Watan, “l’esercito e le forze che lo supportano sono pronte a lanciare un’operazione militare per porre fine alla presenza di questa organizzazione nell’area”.
Buona parte dei residenti di Yarmouk ha già da tempo lasciato il campo, ma sono ancora in migliaia a rimanere. Christopher Gunness, portavoce della United Nations Relief and Works Agency, l’agenzia Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi, si dice molto preoccupato, alla luce degli sviluppi odierni, per la sicurezza degli ultimi abitanti di Yarmouk. Preoccupazione più che giustificata, visto che da martedì le truppe lealiste hanno cominciato a lanciare colpi di artiglieria nel campo in vista dell’assalto finale.
Tutto lascia intendere, dunque, che nei prossimi giorni Assad aggiungerà nuove croci sulla mappa del paese, a segnalare il successo della sua strategia di riconquista. Ma il problema è semplicemente rimandato o spostato più a nord, là dove i ribelli che hanno evacuato le varie enclave in questi giorni sono ora concentrati, mescolati a gruppi di opposizione di varia osservanza nonché a formazioni jihadiste come i qaedisti di Hayat Tahrir al-Sham. Il futuro della Siria verrà deciso anche qui.
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