Dire “progetto di civiltà”, in una riflessione che si collochi nell’oltre che già ci percorre, significa recuperare un “senso globale”. Se è vero che – nella globalizzazione – le realtà, a cominciare dalle persone, si avvicinano e si integrano, è altrettanto vero che la concretezza di ciò che accade (la globalizzazione che vediamo) non sembra accompagnarsi a una evoluzione culturale adeguata rispetto all’urgenza di cogliere il senso profondo della globalità; tale dimensione non è mai neutra né lineare. La globalità è il processo che alimenta, in maniera contraddittoria, la globalizzazione che vediamo.
Il “progetto di civiltà” è meglio immaginabile a partire da ciò che non è: anzitutto, non è il desiderio di un “nuovo mondo possibile”. Qui non si tratta, infatti, di rincorrere situazioni che non esistono, a cominciare dalla (pericolosamente illusoria e totalitaria) volontà di eliminare il conflitto dal palcoscenico della storia; spesso dimentichiamo (volentieri) che i fatti umani, e in essi la democrazia, evolvono in una innovazione che è rottura. E’ su questo punto che si genera il conflitto (positivo) ed è sullo stesso punto che occorre ripensare le certezze in chiave evolutiva; vi è una dinamicità nelle certezze che le fa essere in conflitto permanente e che le fa – al contempo – de-generare e ri-generare.
Il “progetto di civiltà” si muove all’interno delle dinamiche che caratterizzano il tempo storico, scavando in profondità e cercando di trasformarle. E’ chiaro che tale progetto necessiti di conoscenza e che rifiuti la superficialità di approcci solo dall’alto e dominanti. Si tratta, infatti, di ri-entrare (entrare continuamente) nella vita-che-evolve, cercando di com-prenderne le complessità. Questo ri-entrare nella vita dà il senso di un progetto che non è mai scritto definitivamente ma che si costruisce nei movimenti profondi del “vivente complesso”.
Utilizziamo espressioni come “bene comune” o “interesse generale” per significare livelli di attenzione che vadano oltre il particolare. Ebbene, anche tali espressioni hanno fatto il loro tempo perché, a ben guardare, si fondano su un distacco, su una separazione che occorre ri-cucire; il “progetto di civiltà” è altro, vuole mostrare l’importanza di ri-congiungere ciò che è disperso, ri-tornando a guardare la realtà – a partire dalla nostra personale – in uno specchio non deformante che ci trasferisca il “chi siamo”. Certo conservando la imprevedibilità che fa parte della condizione umana, è attraverso il “progetto di civiltà” che possiamo fare i conti con la realtà “carne e sangue”; solo così, infatti, può ri-nascere quel senso di responsabilità verso la storia comune che è l’altra faccia di ogni nostra storia personale.