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Il dramma siriano raccontato da Sam Mouazin

Quanto sta accadendo in Siria mi sta facendo pensare molto e da tempo vorrei scriverne. Non avendo però tutte le chiavi di lettura per farlo ho scelto di chiedere la sua opinione a un amico siriano che conosce bene il dramma che sta vivendo il suo popolo.

Ecco il suo profilo e a questo link l’intervista che gli ho fatto per la rubrica di www.robertorace.com dedicata agli innovatori.

Mhd Houssam (per gli amici Sam) Mouazin. Nato a Damasco, ha frequentato le scuole elitarie della capitale. Si è trasferito a Milano nel 1996 ed è diventato uno dei più affermati direttori artistici e progettisti editoriali per case editrici come Rizzoli, Condé Nast, Mondadori e Universo. Dal 2001 è anche giornalista Iscritto all’albo.
Dopo una ricca esperienza nelle grandi case editrici milanesi, Sam (così chiamato in Italia) inizia la sua avventura imprenditoriale nel mondo dell’editoria e delle traduzioni; spinto poi da un forte interesse per la comunicazione visiva, coltiva la sua passione per la cinematografia e per la scrittura producendo cortometraggi culturali e collaborando con il suo stesso ateneo, il British Council, e altre università britanniche come la Cardiff University e l’Edinburgh University. Il suo monologo L’IO ARABO viene premiato nel 2014 come uno dei tre migliori saggi al Premio Città di Castello.

Ed ecco cosa scrive Sam:

A vederla sembrava la scia di una stella cometa che festeggiava l’alba di una primavera damascena… e invece un missile! Uno dei tanti che dovevano colpire i depositi di armi chimiche di Assad…
Uno scenario vertiginoso e senza fine che, per noi spettatori, sembra ripetersi uguale da anni.

Guidati dagli Stati Uniti, si ripresentano gli ex-colonizzatori del Medio Oriente, Francia e Regno Unito, sorpassando l’Organizzazione delle Nazioni Unite, per lanciare i loro missili nel cuore della regione che avevano disegnato con le proprie mani 100 anni fa, creando così la Siria, il libano, l’Iraq, la Palestina, la Giordania e molto altro…

È davvero frustrante riuscire a condividere un parere sulla questione siriana. Chiunque abbia un minimo di professionalità si farebbe mille problemi prima di pronunciare una parola. Ci ha provato il presidente del consiglio uscente Gentiloni, alla Camera, scatenando le critiche di diversi osservatori che non la pensano uguale… Gentiloni ha cercato di fare un discorso simile a quello della Cancelliera Tedesca, ma per calibrarlo in modo più sbilanciato a favore degli USA “siamo un alleato strategico”, ha dovuto accertare l’inaccertabile sull’uso delle armi chimiche da parte dell’esercito governativo siriano sotto il comando di Assad nella East Ghouta, ritornata sotto l’ala di Damasco dopo anni.
Arriva poi il Presidente francese Macron, molto attivo ultimamente nello scenario internazionale, per sminuire da solo la portata dell’intervento missilistico in Siria, senza che glielo chiedesse nessuno, durante l’incontro con la comunità Europea a Brussels. Era evidente che volesse ricucire qualche probabile strappo qua e là tra i colleghi.

Pare che ultimamente la narrativa Pro-Assad inizi a farsi strada nelle orecchie e nelle menti, e c’è da chiedersi il perché?
Si sono accorti di questa variabile strategica gli israeliani e gli americani; pure i media hanno iniziato a rendersi conto che non potranno più spingere nella stessa direzione come prima; a rischio ormai è quella pochissima credibilità che gli è rimasta davanti ad un pubblico sempre più scettico e sospettoso.
Aumenta a velocità intollerabile la tesi del complotto e della fabbricazione. Il pubblico premuroso per il cambiamento, inizia a trovare in queste tesi una risposta alla sua nevrosi di protesta contro il sistema. A peggiorare la situazione, arrivano alcuni massmedia mainstream, come la Rai, ieri, con un tentativo correttivo per ribaltare la situazione: spiegando che le presunte prove – filo russe – sull’inattendibilità delle fotografie dei Caschi Bianchi sono in realtà fake. Un tentativo che mostra, per alcuni, l’ennesima prova della incapacità degli operatori a comprendere e analizzare la situazione. A cogliere l’occasione arriva, come al solito, un politico conosciuto per il suo fiuto quando si tratta di questioni che fanno gola al popolo: Salvini.

La Siria è diventata un campo minato che non lascia scampo a nessuno. Sbagliano persino le terminologie a mettere insieme una sintassi che stia in piedi. Un gioco di specchi che riflette le varie sfaccettature di una narrazione mai la stessa, anche quando è raccontata dalla medesima persona.

La questione siriana ha dato sbocco a molte speculazioni. Oltre ai centri di accoglienza, al traffico di immigrazione e alla questione dei rifugiati, è anche materia di accesi diverbi sui social tra quelli che difendono il loro eroe Assad e quelli che vedono in lui un demone… Ha dato in pasto alle riviste di geopolitica per anni, trasformandole in un genere editoriale somigliante al “gossip politico”. Ha persino portato alla nascita di molte attività, diventando un campo nel quale tutti vogliono sperimentare le loro abilità al fine di mostrarsi.

Per rendere giustizia alla questione siriana non basta raccontare il suo aspetto geopolitico, che tutto sommato pare sia il più semplice da inquadrare. Fondamentale approfondire le varie sfaccettature, e soprattutto quegli aspetti personali più profondi che spingono ogni singolo a schierarsi da una parte o dell’altra. Sono quelle opinioni personali che oggi fanno la differenza, terrorizzando persino la democrazia dei voti.
Facebook evidenzia perfettamente questa sfaccettatura attraverso bolle di dibattiti “sensazionali” e gruppi che si formano attorno pensieri unici che non permettono intrusione alcuna. Questo gioco delle “sensazionalizzazioni” ha trovato strada persino tra i giornalisti che si occupano del tema; molti di loro non hanno resistito a farsi coinvolgere, dedicandosi ad una sola narrazione, provando rifiuto a trattare l’altra per questioni morali.

Geopoliticamente, dopo la rapida dissoluzione di alcune dispensabili fenomenologie di matrice islamica, come ISIS (Daesh), Annusrah, Jais al-Islam e altri, traspaiono l’egemonie che anni fa avevano sfigurato la mappa mediorientale, e che oggi si sentono chiamati in causa per fare alcuni adeguamenti. Non accettando che Assad sia riuscito a smantellare, in sole 3 settimane, l’immensa gabbia che hanno tessuto attorno a Damasco durante i 7 anni, vanno alla ricerca di un bombardamento “salva-faccia”. L’America, che aveva già posizionato le sue truppe sull’asse Damasco-Iran, per garantire la sicurezza di Israele, e vede improvvisamente Damasco liberarsi, con rapidità, dalle sue catene, guida la coalizione.

Israele, che mandava i suoi F15 ogni qual tanto per “spuntare” la crescita iraniana qua e là, resta ansiosa vedendo Assad incassare i risultati di una nuova vittoria dopo quelle ottenute sul campo. Lo ammettono pure i media Israeliani l’Assad “Winning”, facendo una lunga analisi sulle incapacità occidentali di elaborare un minimo di What’s Next.
“Perché rispondere – direbbe Putin – tanto, avevamo vinto…”


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