Credo valga la pena fare una riflessione sulle crisi industriali dell’area torinese (Embraco, Ericsson, Arca Technologies) soffermandosi come esempio su una in particolare: Italiaonline, Iol o per i nostalgici, le ex Pagine Gialle. Il nocciolo di questa vertenza è presto detto: per ragioni di eredità storica, Iol ha due sedi a Milano (il quartier generale e gli uffici direzionali) e Torino ed il mantenimento di due diverse sedi non risponde più al modello organizzativo e di sviluppo del business, oltre agli ovvi costi economici; per cui l’azienda ha deciso di chiudere la sede di Torino e di trasferire e concentrare nella capitale lombarda tutte le attività, con il corollario di almeno 400 “posizioni professionali”, cioè lavoratori e lavoratrici in carne ed ossa, in esubero e con il possibile assorbimento di oltre la metà, circa 240, nella nuova ed unica sede.
Nella speranza di non apparire cinici, si potrebbe dire di una crisi, purtroppo, non diversa da tante altre. Allora perché questa vertenza è diversa dalle altre? Per tre motivi o meglio tre sfide.
La prima riguarda la trasformazione del modello industriale e, per non farla troppo lunga, della sfida che l’innovazione tecnologica che ogni azienda che vuole restare sul mercato, deve affrontare: processi di automazione, cura del cliente, snellimento organizzativo. Insomma, la digital trasformation.
La seconda sfida è quella della valorizzazione della risorsa umana. Non siamo ancora alla battaglia tra uomo e robot, ma è chiaro che un’azienda che “lavora on line”, deve essere in grado di attivare processi formativi per il personale all’altezza della prima sfida, cioè quella sul nuovo modello industriale. Detto per inciso, quella della formazione, non è una battaglia che le imprese possono combattere da sole, è indispensabile pensare anche un modello didattico figlio del tempo che viviamo.
La terza sfida è quella delle relazioni industriali. Tagliare il personale per far tornare i conti non serve o almeno serve a vivacchiare per un po’, ma, e torniamo alla prima sfida, non risolve il problema. Allora, bisogna pensare a qualcosa di nuovo e di diverso. Intanto, per quanto la cosa al momento possa risultare incomprensibile e persino scandalosa, è, sfida nella sfida, salutare legare la corresponsione di bonus ai dirigenti, non solo se evitano l’affondamento (sarebbero naufraghi loro stessi) ma se riescono a rimette in scia la nave e salvare l’equipaggio e il carico. La metafora marinaresca è scelta per significare che è difficile pensare ad un approdo sicuro magari nel porto vicino casa. Dunque, fuor di metafora, anche sul fenomeno del pendolarismo, bisogna che sindacati e azienda – coprotagonista anche la politica locale e nazionale – trovino soluzioni al disagio pensando ad un sistema di welfare che sia di visione e, ancora sfida nella sfida, possa indicare soluzioni mirate e soddisfacenti per oggi e per il futuro, insomma che funzioni da modello. Della formazione si è detto più sopra, e perché non riflettere sulla partecipazione dei lavoratori all’impresa? Gli esempi non mancano e proprio nella rigorosa e produttiva Germania.
Dunque la proposta è anche quella di un modello di contratto integrativo aziendale che sia parte della soluzione della vicenda che si sta discutendo in queste ore. Una vicenda che va ben oltre i confini del nostro Paese e che si chiama globalizzazione. Evitabile, no, ma governabile sì