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La parola Jihad e l’Islam visto solo con la lingua degli estremisti

corano, Jihad

Un tribunale francese ha impedito a due genitori musulmani di chiamare il proprio figlio Jihad, che in arabo significa soprattutto “sforzo interiore e spirituale”. Ma così non si finisce per dar ragione ai fondamentalisti?

Prima di rispondere a questa domanda, proviamo a scandire in poche righe il significato della parola jihad e come oggi, soprattutto in Occidente, sia entrata nell’immaginario collettivo solo ed esclusivamente come “guerra” aggiugendoci “santa” e poi “crociata” agli infedeli, dalla quale non sembra sfuggirne nemmeno il sito Treccani.it.

Senza perdersi in lunghe spiegazioni teologiche, sono da chiarire subito alcuni elementi sulla parola jihad, presente nel Corano 41 volte e in varie declinazioni, ma utilizzata soprattutto con il significato di “sforzo sulla via di Dio”. Perché, nell’approfondire la questione guerra, il Corano utilizza, la parola harb, tradotto: guerra. I musulmani tuttavia, non dispongono solo del Corano ma anche della Sunna.

E la tradizione islamica ci indica due tipi di jihad: il grande jihād (quello superiore), descritto come lotta contro il male e le passioni dell’Io, al fine di raggiungere una purificazione spirituale. Il piccolo jihad, quello inferiore, tradotto come lotta difensiva per la preservazione dell’Islam che può spingersi allo sforzo militare. Due distinzioni di cui non vi è traccia nel Corano, e la fonte stessa del hadith dal quale provengono, viene classificata come “debole”.

Ora, fatta questa sintesi e tornando ad oggi a partire dal caso di cronaca francese, sappiamo come della parola jihad, i movimenti fondamentalisti e terroristi, ne abbiano fatto un brand di guerra e sangue, seppure, il duplice concetto della parola che abbiamo sinteticamente descritto, provenga più da una tradizione islamica debole, e dove si sottolinea come sia limitato per guerra è intesa una guerra difensiva.

Seguendo la propaganda dei leader estremisti che chiamano al jihad, non si può non constatare come sia strumentalizzato il significato della parola oltre il contesto. Da Al Qaeda allo Stato islamico e altri movimenti affini, nell’ invitare i musulmani alla causa “jihadista” – e questa volta offensiva – si punta il dito sull’interferenza dei paesi occidentali negli affari dei paesi musulmani, ma anche sui leader corrotti a guida dei diversi paesi musulmani.

Ma tocca sottolinearlo, jihad inteso come guerra, lo interpretano i movimenti fondamentalisti e terroristi, e non i semplici musulmani, o i maggiori teologi e Ulema che si sono espressi in passato come nel presente in maniera chiara sulla parola, senza lasciare nessun alibi sul suo vero significato.

Ora bisogna capire alcune questioni: c’è una grande maggioranza seppur complessa e diversificata di musulmani in tutto il mondo, ormai assediata da una banda fondamentalista e terrorista, che ha plasmato la narrativa della complessità islamica con le lenti del terrore, la minaccia, l’oscurantismo e la paura.

Ma la questione vera è come in Occidente – che dovrebbe essere culla del pluralismo anche delle voci – si sia invece lasciato il terreno fertile e molto spesso predisponendo riflettori e megafono a questa propaganda, facendola passare come “islam”, e non come una lettura deviata dello stesso Islam. Come siamo arrivati a raccontare l’Islam soprattutto con la lingua degli estremisti? Quali obiettivi ci sono nel continuare, non solo politicamente ma anche intellettualmente a tenere fuori i diversi attori della scena, e quindi soprattutto quella maggioranza islamica, quella che è in continua evoluzione anche rispetto alla propria fede?

Le parole e il loro significato sono importanti. Che in Francia venga proibito a una coppia di chiamare il proprio figlio jihad, diventa non solo un regalo e un accredito ai movimenti fondamentalisti e terroristi nel globo, ma trasmette loro anche un messaggio: avete vinto voi ancora una volta.

Perché far passare il significato della parola jihad, secondo le letture e le interpretazioni dei fondamentalisti non solo ammutolisce chi l’islam lo vive nella sua autenticità senza estremismi ma cancella la storia, il presente e il futuro di quello sforzo immane di milioni di musulmani che mettono a disposizione nella loro quotidianità, in chiave emancipativa e riformista dentro un contesto globale e non solo islamico.

Per vincere l’estremismo, il fondamentalismo e il terrorismo che in questi anni si è voluto vestire di islam, bisogna combatterlo con le idee, che si producono con le parole. Ma se lasciamo la traduzione e l’interpretazione dell’islam ai fondamentalisti pieni di odio e vendetta, allora non solo perdiamo la battaglia, ma peggio ancora, parteciperemo all’assedio di quella grande maggioranza islamica che nulla ha a che vedere con i fondamentalismi. Riappropriarsi del significato delle parole, difendendo il loro messaggio positivo rispetto a quello negativo, dovrebbe essere una delle più importanti battaglie, ma forse ce ne siamo dimenticati.


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