Si è tenuto in un clima di tensione dovuto allo strike anglo-franco-americano di sabato in Siria il summit della Lega Araba di ieri in Arabia Saudita. All’incontro erano presenti tutti i leader dei 22 paesi della Lega, dal Nord Africa al Medio Oriente, con l’eccezione del presidente siriano Bashar al-Assad, che è oggetto di profonde divisioni tra i membri della Lega, e dell’emiro del Qatar, rappresentato dal suo inviato alla Lega.
Il tema della Siria è rimasto volutamente in secondo piano, anche per le opposte reazioni dei membri della Lega allo strike occidentale. Sia l’Arabia Saudita che il Bahrein e il Qatar hanno rilasciato infatti dichiarazioni favorevoli all’attacco, mentre altri Paesi tra cui Egitto, Iraq e Libano hanno espresso preoccupazione.
A dominare la scena, per volontà del padrone di casa, è stata invece la rivalità tra l’Arabia Saudita e l’Iran, avversari nella competizione per l’egemonia regionale nonché impegnati in diversi conflitti per procura in cui cercano di farsi male a vicenda. Il summit non a caso si è tenuto nella città occidentale di Dhahran, al riparo dai missili che i ribelli Houthi del vicino Yemen lanciano periodicamente in direzione dell’Arabia Saudita e che hanno ripetutamente colpito la capitale Riad e le città al confine meridionale.
Quando re Salman ha preso la parola, ha spiegato ai 21 ospiti che l’Iran è un agente di instabilità per la regione e che ha la tendenza a ingerire negli affari interni degli altri Paesi. Il caso più lampante è per l’appunto quello dello Yemen, dove gli iraniani sono sospettati di sostenere militarmente gli Houthi e di fornire loro missili balistici. Salman ha ricordato che da quando il conflitto in Yemen è cominciato, sono stati ben 116 i missili lanciati dagli Houthi in direzione dell’Arabia Saudita.
Ma quando si parla di ingerenza iraniana, la prima cosa che viene in mente è il conflitto in Siria. Lì infatti Teheran è divenuto un attore decisivo nella gestione del conflitto e nella definizione degli equilibri del Paese, in sinergia con gli altri due partner del patto di Astana, vale a dire Russia e Turchia. Uno sviluppo che preoccupa non poco l’Arabia Saudita così come gli Stati Uniti ed Israele, che in questo momento sono concordi sulla necessità di approntare misure per arginare l’espansionismo iraniano.
A proposito di Siria, il Segretario Generale della Lega Ahmed Aboul-Gheit ha detto, sintonizzandosi con le parole di Salman, che “gli attori internazionali che stanno cercando di centrare i loro obiettivi politici strategici” sono da biasimare per il collasso di quel Paese. “L’interferenza regionale negli affari arabi”, ha spiegato Aboul-Gheit, “ha raggiunto un livello senza precedenti. E il primo di questi è l’interferenza iraniana, il cui scopo non è certo il benessere degli arabi o i loro interessi”.
Al summit si è parlato anche di un’altra crisi che si sta consumando in quest’area: quella col Qatar, oggetto da giugno scorso di un embargo da parte di Arabia Saudita, Bahrein, Egitto che hanno anche tagliato tutte le relazioni diplomatiche con l’emirato, accusato di collusione con l’estremismo islamico e di rapporti troppo amichevoli con Teheran. La tensione generata da questo tema era palese ed era dimostrata anche dall’assenza dell’emiro del Qatar che si è fatto rappresentare dal suo inviato alla Lega Araba.
Un raro momento di unità del summit si è consumato quando si è affrontato il tema della Palestina. Tutti i leader arabi hanno espresso il loro incrollabile appoggio alla causa palestinese, e si sono allineati alle parole di re Salman che ha reiterato la condanna della decisione degli Stati Uniti di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e di trasferirvi la propria ambasciata.
Salman ha approfittato del summit per rivelare di aver donato 150 milioni di dollari all’amministrazione che gestisce i siti santi musulmani a Gerusalemme, a partire dalla moschea di al-Aqsa. Ha annunciato anche di investire altri 50 milioni di dollari in programmi gestiti dall’Unrwa, l’agenzia Onu che si occupa dei profughi palestinesi.
E sull’Unrwa è intervenuto anche il presidente palestinese Mahmoud Abbas, che oltre a criticare la mossa Usa su Gerusalemme ha contestato la decisione americana di congelare milioni di dollari che tradizionalmente riserva alle casse dell’Unrwa: una “decisione”, l’ha definita Abbas, “che ha reso gli Stati Uniti una parte in causa del conflitto e non un mediatore neutrale”.
Ma lo sfoggio di unità sulla Palestina cela in realtà l’ennesima divisione in seno alla Lega Araba, con alcuni paesi, Arabia Saudita in testa, che collaborano attivamente con l’amministrazione americana e ne appoggiano il piano di pace sul conflitto israelo-palestinese che la Casa Bianca sta mettendo a punto.
La realpolitik, insomma, ha fatto da sfondo ai lavori di questo summit, ennesima occasione per far incontrare a tu per tu leader che tradizionalmente sono d’accordo su poco o nulla.