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Dal Pakistan alla Francia passando per l’Italia. Come trattare l’islam?

Ogni volta che si affaccia sulla cronaca un fatto di violenza, dove i soggetti coinvolti sono migranti, e in aggiunta musulmani, automaticamente si impone sulla scena del dibattito e l’approfondimento, su un solo fattore. L’islam.

Ora, certamente l’islam è un segmento comune ai soggetti coinvolti ma il rischio di attribuire a questo elemento uniformità  oltre l’intero spazio di colpevolezza rischia di farci cadere in errore nell’analisi. Andrò a spiegarne i motivi ma prima sarà il caso di tenere a mente queste parole e ripetere tutti insieme: Non esiste un islam, ma esistono vari islam, e soprattutto esistono i musulmani. Persone, individui portatori di un proprio bagaglio culturale in continua evoluzione laddove si inseriscono.

Faccio questa premessa perché in questi giorni, come in altri, sono stati al centro del dibattito diversi fatti di cronaca, sempre sotto la parola “islam” e  con annessa analisi sulla specificità religiosa.

Ma andiamo per ordine:

1- La morte di una ragazza pachistana di Brescia, Sana Cheema dai risvolti ancora da definire, forse perché si era troppo integrata alla società italiana;

2-  L’avanzare di un partito islamista in Belgio che ha come obiettivo l’introduzione della sharia una volta eletto;

3- Una ricerca proveniente dalla Francia “ La tentation radical” che evidenzia come ⅓ dei giovani intervistati ritenga normale la partecipazione a un’azione violenta per difendere le proprie idee;

4 -La notizia ripresa dalla Bbc urdu e rilanciata sulla nostra Ansa, su una giovane donna di nome Asima, 24 anni cristiana, arsa viva dal fidanzato pachistano, perché rifiutava  di convertirsi all’islam.

In meno di dieci giorni, questi fatti sono entrati al centro del dibattito riportando come un leitmotiv la “Questione islamica e noi” che prende forma anche dell’ultimo editoriale di Angelo Panebianco sulle pagine del Corriere della Sera. Noi e l’islam, le domande in sospeso, scrive Panebianco, dove l’autore  tra le varie domande si chiede: “È possibile difendere la società aperta, o libera, dall’azione di minoranze culturali che le sono ostili senza sopprimere, mentre si cerca di difenderla, la società libera medesima?”.

E ancora, andando nello specifico, Panebianco affronta la questione multiculturalità e multietnicità. Due realtà che in diversi paesi occidentali stanno vivendo da qualche decennio producendo storie positive ma anche veri e propri fallimenti.

Ora, cosa c’entri tutto questo con l’islam? C’entra dal momento in cui, il segmento del fattore religioso islamico, si è inserito e lo si è individuato con maggiore evidenza nel panorama occidentale.

Ma il problema dell’analisi è che questo fattore è ancora fuori fuoco nelle sue sfumature e peculiarità. La stessa cronaca dei 4 fatti sopracitati, dimostra una sovrapposizione di accadimenti che dal Belgio passano per il Pakistan sfiorando la Francia per arrivare da noi, ma senza che questo percorso venga dettagliatamente approfondito, per comprenderlo. Il risultato oggi è un sovraccarico di fattori semplificati sotto un’unica chiave di lettura. Con il rischio sempre più concreto di capirci sempre meno di quanto stia avvenendo nel nostro paese, perché continuiamo a guardare quello che ci accade con le lenti d’ingrandimento di quello che succede in Pakistan, piuttosto che in Belgio o Francia.

Prendiamo questi 4 avvenimenti per una esercitazione.

1- La morte di Sana Chemaa, in circostanze ancora da definire, è tuttavia il ritratto di una nuova generazione in rottura con la prima, quella dei genitori, rappresentativa di cultura, tradizioni e progetti per il futuro, dove il fattore islam di quella sfumatura li, intesa come pachistana, è solo uno dei segmenti e non il segmento, sul quale ha avuto la parola fine la vita di Cheema. Più forte è la cultura patriarcale, l’ossessione della gestione del corpo femminile e la sua libertà non solo di movimento ma anche di amare semplicemente.

2- L’avanzare di un partito islamista che promette sharia ( che poi, anche qui, quale sharia?)  una volta eletto, con iniziative tese a ribaltare l’uguaglianza e l’equilibrio dei due sessi, come l’introduzione di autobus divisi tra maschi e femmine, non è altro che uno dei tanti cortocircuiti della democrazia, dove a fare una profonda riflessione dovrebbero essere le istituzioni belghe più che le minoranze musulmane. Provare a domandarsi come siano riuscite a far crescere dentro il proprio paese mille ghetti che oggi diventano minoranza capace di ribaltare e portare indietro di decenni il progetto e disegno di una maggioranza.  Come siano stati capaci a non essere un modello attrattivo da seguire e magari arricchire invece di essere percepiti come un modello da contrastare, rispolverando vecchie ideologie e modelli di vita non più praticabili nemmeno in diversi paesi musulmani.

3- La ricerca francese che mette a fuoco i suoi giovani musulmani come affascinati dall’ideologia radicale, e interpreta il fenomeno come peculiarità intrinseca al fattore religioso e culturale islamico, rischia di non guardare dritto negli occhi al problema tagliando di netto una sua introspettiva sociale storica e geopolitica.

In questi ultimi decenni il paese d’Oltralpe, se nel caso della prima generazione di immigrati  riuscì nell’assimilazione all’identità francese, c’è però da evidenziare che questa formula è crollata su se stessa perché non ha saputo trovare nuove chiavi di integrazione a una nuova generazione, più esigente rispetto ai padri. Più esigente perché si percepiva ancora più francese. In realtà Il fattore “islam”  in Francia è il segmento più politicizzato che altrove da questi nuovi convertiti. Per capirlo, bisogna una volta per tutte riportare al centro il ruolo della geopolitica di Francia come in Occidente in Medio Oriente. La religione è solo uno strumento di coesione che serve a rivendicare questioni storiche, sociali ma anche geopolitiche. Un nuovo strumento di resistenza più politico che spirituale.

Infine, la notizia ripresa dalla Bbc urdu e rilanciata sulla nostra Ansa, su una giovane donna di nome Asima, 24 anni cristiana, arsa viva dal fidanzato pachistano, perché rifiutava di convertirsi all’islam. Perché un fatto di cronaca locale, in un paese lontano ci deve interessare? Di casi di violenza e femminicidio, purtroppo nel nostro stesso paese, sono una emergenza e mica perché chi li commette è di fede islamica, anzi. Il punto è anche qui “l’islam” che rapportato alla violenza sui “cristiani”, diventa elemento ulteriore di analisi. Eppure, se letto con obiettività questo fatto di cronaca, così come ci viene raccontato, si dovrebbe intanto constatare che il matrimonio tra il musulmano maschio e la donna non musulmana, dunque cristiana, rientra nella stessa sharia. Poiché è ammessa l’unione tra il musulmano e la non musulmana mentre non è ammessa, l’unione tra il non musulmano e la musulmana. Ma tant’è che un fatto di cronaca dal Pakistan entra in scena anche da noi, perché la vittima è cristiana ed evidentemente le chiavi di analisi verranno ancora una volta sconvolte e riportate a noi e il nostro rapporto con l’islam, come lo è ogni fatto di cronaca in ogni luogo.

Il punto e l’errore di valutazione sta proprio su questo tipo di prospettiva. Ogni società accoglie al suo interno una minoranza di diversi individui con le loro specificità culturali. Ma anche ogni società accogliente ha anch’essa le sue di specificità culturali frutto anche di lunghe battaglie. Gli anticorpi per la nascita di intolleranza, e il trasformismo del concetto di comunità inclusiva in quella ghettizzante talvolta ostile a secolarizzazione ed emancipazione, sono da individuare e difendere nei pilastri portanti di ogni paese ospitante e sono fatti di leggi e regole da far condividere a tutti i cittadini senza differenze.

Per comprendere questo concetto, bisogna ripetere ancora una volta che: non esiste un islam, ma esistono vari islam, e soprattutto esistono i musulmani. Persone, individui portatori di un proprio bagaglio culturale in continua evoluzione laddove si inseriscono.

Continuare a rapportarsi alla questione “islam” come un blocco unitario, non solo è miope e controproducente in chiave di integrazione ma è anche un assist, per quei movimenti islamisti che della fede ne hanno fatto politica e che in Occidente guarda caso, riescono ad avere maggior successo.

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