Nel mondo di oggi abbiamo bisogno di ri-pensare i nostri paradigmi interpretativi. Non si tratta più, infatti, di leggere la realtà con un approccio separante, noi-loro, amici-nemici, asse del bene-asse del male e così via. Siamo immersi in una fase molto delicata della condizione umana e questo ci chiama tutti, nessuno escluso, a lavorare creativamente per immaginare percorsi di civiltà e di ri-appropriazione della realtà.
Abbiamo di fronte a noi elementi molto concreti che ci segnalano l’urgenza di lavorare politicamente, tornando a fare i conti con le complessità della realtà. E dobbiamo farlo in spirito affermativo, progettuale, non negando né esaltando il negativo che ci percorre ma cercando di capire ciò che vive nella realtà, di interpretarlo e, ove possibile, di rispondere alle esigenze che il tempo presente pone. Qui sta il problema: troppo spesso, l’approccio delle classi dirigenti è distante dalla vita e, non solo in Italia, le persone lo sentono e, pur se confusamente, scelgono “altro” dai partiti classici. Questo “altro” non è il male senza se e senza ma; ci sono movimenti, trasformazioni, metamorfosi che nascono nel disagio provocato da diseguaglianze non più accettabili, da una paura che molta informazione alimenta rispetto al “differente” (che volentieri classifichiamo come “diverso”), da una frammentazione che sacrifica le relazioni fino a “dogmatizzare” identità che diventano slogan per il consenso.
Ho più volte scritto che un elettorato fluido e senza più riferimenti ideologici non sopporta i tatticismi, è allergico ai giochi di palazzo che funzionano sul piano del gossip ma non su quello della necessaria decisione politica. Bisogna porre molta attenzione al pericoloso fossato che si continua a scavare tra le persone e il sistema che le governa (che non si riconoscono più come facce della stessa medaglia); è come se la “gente” sentisse di essere abbandonata al suo destino, avvertisse di non essere accompagnata in un progetto comune di maturazione di ogni “sé” nella società-mondo. Perché è questo: la rappresentanza politica, saltati i paradigmi classici della sovranità dello Stato come lo intendevamo, deve ri-prendere le società mano nella mano, ri-pensando la mediazione istituzionale nei termini dell’incontro progettuale in una realtà ormai globale.
Vorrei dire ai politici che non colgono questa trasformazione che il loro linguaggio viene semplicemente rifiutato, che le orecchie di chi li sente diventano sorde per il tempo del loro parlare, che la politica-di-casta è il bersaglio di un disagio materiale e di una noia diffusa che, in quanto tali e sempre di più, diventano consenso.