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L’intesa fra Pd e M5S può essere credibile all’estero. Parla Camporini (Iai)

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Mentre sul fronte internazionale impazzano dossier caldi, dalla Siria all’Iran, passando per la difesa europea e l’attivismo di Macron, un esecutivo targato Movimento 5 Stelle e Partito Democratico potrebbe apparire più rassicurante agli occhi dei nostri alleati. Certo, occorrono maggiori garanzie e molto dipenderà dalla scelta delle persone a cui affidare ministeri chiave, a partire da Esteri e Difesa. Parola del generale Vincenzo Camporini, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai), membro del Senior expert group della Nato e già capo di Stato maggiore della Difesa, con cui abbiamo parlato dei temi più delicati dell’attuale contesto internazionale. Se la tensione in Siria sembra abbassarsi, infatti, rischia di riaprirsi le crisi iraniana, con Trump che ci va giù duro sul governo di Teheran e sull’accordo nucleare. Nel frattempo, in Europa, Macron trova spazio per affermare la leadership francese per le questioni che riguardano la difesa, e disegna un asse con la Germania per lo sviluppo di un nuovo aereo da combattimento, un progetto che sembra “una follia”. In tutto questo, l’Italia rischia di restare indietro, ancora alle prese con la difficile formazione del nuovo governo.

Generale, se il fronte nordcoreano sembra rasserenarsi, le recenti parole di Donald Trump preannunciano la possibilità che si riapra la crisi iraniana. Mentre il presidente americano continua a criticare l’accordo nucleare, Macron punta invece il dito sui missili balistici e si parla di nuove sanzioni. Cosa dovremmo aspettarci?

Ci stiamo avvicinando al 12 maggio, la data fissata da Trump per prendere la decisione relativa all’accordo nucleare iraniano e verificare i progressi fatti dal governo di Teheran sulla sua attuazione. L’intenzione del presidente americano è stimolare gli alleati che avevano sottoscritto il trattato a fare ulteriori pressioni sull’Iran, ma il problema è che, nel frattempo, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha esplicitamente detto che Teheran è compliant, e cioè che non ha perseguito scopi militari nella sua ricerca nucleare e si è attenuta agli accordi stipulati. Ora, l’attenzione francese è rivolta ai vettori di lancio, con l’ipotesi di ulteriori sanzioni per un settore, quello dei missili, che non è compreso sul trattato nucleare. L’accordo era all’epoca la cosa meno peggiore che si potesse fare, ma certo lasciava fuori un tema importante. D’altronde lascia perplessi il fatto che un Paese che abbia rinunciato ad acquisire l’arma nucleare abbia portato avanti il programma sui missili balistici.

In che senso?

Non si sviluppano missili con tremila chilometri di gittata per trasportare 200 chili di Tnt. Per questo non sembra del tutto sbagliato portare l’Iran a una nuova riflessione. Ma questo deve avvenire attraverso l’apertura di un negoziato e non con un’azione punitiva come le sanzioni.

La partecipazione all’attacco in Siria a guida statunitense, il vertice con Trump e ora la convergenza sulla questione nordcoreana. L’avventurismo di Macron nasce dall’alleanza con gli Stati Uniti o piuttosto dal desiderio di una più netta autonomia francese?

Prima di tutto non parlerei di avventurismo, ma di attivismo, poiché il primo forse conserva un’accezione troppo negativa. In ogni caso, credo che sia una combinazione delle due. Da un parte, Macron sta dicendo a Trump che la Francia compie il proprio dovere nell’alleanza. Dall’altra, poiché in Europa non ci sono iniziative sconvolgenti verso un’integrazione seria della difesa (dato che la Pesco di certo non lo è), il presidente francese trova lo spazio per poter agire in piena autonomia. Disposto ad accettare che il pallino economico in Europa sia in mano alla Germania, Macron sta mostrando di voler guidare il dossier della difesa. Si tratta dunque di due aspetti: dimostrare che la Francia rispetta l’alleanza con gli Usa, e ribadire la preminenza in Europa.

Sull’attacco in Siria, invece, Germania e Italia hanno espresso la stessa posizione, confermando il rispetto dell’alleanza ma decidendo di non intervenire. È un primo tentativo di convergenza anche per bilanciare l’attivismo di Macron?

Lo possono sapere in pochi. Personalmente, credo che l’atteggiamento italiano sia stato assolutamente razionale a prescindere da quello tedesco, e lo stesso vale per la Germania. Se alla base di ciò ci sia stato uno scambio di vedute per individuare una posizione comune non è dato sapere, io ne dubito. Tra l’altro, dopo l’operazione, rappresentanti di Berlino sono corsi a Londra per una riunione a quattro, con Francia e Stati Uniti, sul futuro della Siria. Il fatto che noi non ci fossimo mi lascia credere che la nostra posizione non sia stata concertata con qualcuno, ma che piuttosto sia stata in linea con la prassi italiana del passato.

Un asse che invece sembra funzionare è quello tra Parigi e Berlino. Dal salone ILA, che parte oggi a Berlino, è atteso un nuovo annuncio sul caccia franco-tedesco del futuro. Cosa dovrà fare l’Italia?

Dovrà stare molto attenta perché il programma pare una follia. Ammesso che parta, avrà costi stratosferici. Basta prendere in considerazione i costi dell’Eurofighter e moltiplicarli per tre o per quattro: questo è il costo di un nuovo velivolo da combattimento, tra l’altro con tecnologie che ad oggi non ci sono (forse solo la Gran Bretagna in Europa ce l’ha) e con tempi di almeno 10/15 anni. Ero tenente colonnello quanto vidi firmare il primo memorandum of understanding sull’Eurofighter. Era il 1982, e il velivolo è entrato in servizio nel 2006. Ci sono voluti 24 anni dalla prima decisione prima che il velivolo entrasse operativo. Non aspettiamoci tempi ridotti per un’impresa come questa.

Tornando al dossier siriano, dopo le ultime settimane il rischio escalation tra Russia e Stati Uniti sembra diminuito. Cosa dobbiamo aspettarci nel breve periodo?

Sono curioso soprattutto di vedere cosa accadrà dopo le dichiarazioni di Trump in merito al ritiro delle truppe speciali americane da territorio siriano. Il presidente degli Stati Uniti ha chiesto agli arabi di sostituirli e ciò ha creato un certo sconcerto anche perché non tutti coloro che sono stati chiamati all’appello hanno dato la loro disponibilità. Ad ogni modo, credo che Trump ritirerà i soldati americani dalla Siria, poiché questo risponde a una visione del mondo in cui gli Stati Uniti non sono più disposti a farsi carico delle situazioni di disordine. La questione non è esclusivamente tipica di Trump, ma riguarda anche il passato. Da tempo gli Usa sono stufi di dover fare ciò che gli altri non fanno. Ricordo la campagna per le elezioni presidenziali del 1996, in cui tutti i candidati affermarono esplicitamente di non volersi interessare dei Balcani. Poi le cose andarono diversamente, soprattutto per le richieste europee, ma il trend storico rimane. Ora, il vero interesse americano è rivolto all’Asia ed è lì che si stanno impegnando in modo determinante.

Passiamo al fronte interno. L’ipotesi di un’alleanza tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, su cui sta lavorando il presidente della Camera Roberto Fico, le sembra più rassicurante in termini di continuità sulla politica estera e di difesa?

Bisogna ricordare che il Movimento 5 Stelle era all’inizio decisamente contro la Nato, contro l’euro e contro l’Unione europea. Dopo le elezioni si sono riscoperti paladini dell’Europa e dell’Alleanza Atlantica, dimostrando non una grande stabilità ideologica su questi temi. Presumo che ciò sia dovuto al fatto che hanno preso contatto con la realtà del mondo, e che hanno capito che tali posizioni non erano assolutamente sostenibili. Il Partito democratico, al contrario, è da sempre sostenitore delle solidarietà atlantica, quanto di quella europea. Considerando un avvicinamento su questi temi e quanto indicato anche sui 10 punti del programma di governo stirato per i 5 Stelle dal professor Della Cananea, direi che lo prospettive sono meno pessimistiche rispetto al passato. Eppure, rimane impossibile fare una previsione in un quadro che ad oggi resta confuso e privo di governi.

Ma agli occhi degli alleati, un’eventuale esecutivo M5S-PD potrebbe essere percepito come più rassicurante rispetto a un accordo con la Lega?

Credo che un ulteriore aggiustamento del documento di Della Cananea, con una più esplicita sottolineatura che non verrà messa in discussione la lealtà atlantica e che qualsiasi decisione strutturale in materia economica verrà negoziata e concordata con le istituzioni europee, potrebbe fugare molti dubbi. D’altra parte, la Lega di Matteo Salvini è vista come schierata su un fronte non compatibile. Ovviamente, non si può prescindere dalle persone: chi verrà proposto per i ministeri chiave, come Esteri e Difesa, sarà determinante per una valutazione di credibilità internazionale.

Lo stallo intanto rischia di farci arrivare in ritardo su alcune discussioni rilevanti in ambito europeo, soprattutto sul tema della difesa e sul nuovo quadro finanziario pluriennale dell’Unione. Quanto è urgente trovare un nuovo governo?

L’urgenza è grande, anche per questioni che sono banalmente finanziarie. A questi tavoli bisogna presentarsi con un portafoglio che sia dotato di abbastanza risorse. Il Fondo europeo di difesa (Edf) è un’iniziativa finalizzata ad avviare l’integrazione del mercato europeo della difesa, stimolando l’industria a mettersi insieme, a cooperare e a unirsi con operazioni di merger and acquisition. Non bisogna però dimenticare che l’Edf prevede di finanziare i programmi portati avanti da due o tre industrie di altrettanti Paesi al 20%. Il restante 80% devono mettercelo gli Stati e noi rischiamo di restare fuori se non saremo in grado di farlo.

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