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Esami di maturità: sui presidenti i sindacati comandano, il Miur esegue

Per gli esami di maturità di quest’anno e per le presidenze di commissioni affidate ai presidi del I ciclo l’inizio della storia è recente: a seguito della “Buona scuola” l’art. 8 del D.Lgs. 62/2017 e il DM n. 741/2017 (come indicato nella nota Miur n. 1865/2017) prevedevano che, a partire dal giugno 2018, il dirigente scolastico della scuola del primo ciclo svolgesse obbligatoriamente la funzione di presidente della commissione dell’esame di Stato dell’istituto da lui diretto. Solo in caso di reggenza di altra scuola o di assenza o impedimento, la funzione di presidente sarebbe stata svolta da un docente collaboratore.

La nuova disposizione normativa è stata poi confermata dalla C.M. n. 4537 del 16 marzo 2018 per la formazione delle commissioni degli esami di Stato del secondo ciclo.

Così stanti le cose, da quest’anno i dirigenti scolastici del primo ciclo non avrebbero più potuto partecipare, in qualità di presidenti, agli esami di maturità conclusivi del secondo ciclo di istruzione, possibilità invece esistente da decenni in quanto prevista dall’articolo 4 della legge 425/1997, sostituito dall’articolo 1 della legge 1/2007, purché il dirigente scolastico preposto ad istituti di istruzione primaria e secondaria di primo grado fosse provvisto di abilitazione all’insegnamento negli istituti di istruzione secondaria superiore.

Ma le pressioni sindacali sono riuscite a far fare marcia indietro al Miur. Infatti, dopo una pressante vertenza, con Nota n. 6078 del 6 aprile scorso il Miur ha riaperto ai presidi del primo ciclo la possibilità di fare i presidenti nelle maturità del secondo ciclo, facendo per via amministrativa venir meno l’obbligo normativo ricordato all’inizio.

Ma i sindacati non sono contenti: secondo loro la Nota fa un’apertura solo virtuale, perché, confermando la necessità di possedere un’abilitazione all’insegnamento per le superiori e inserendo alcune condizioni nell’individuazione del sostituto del dirigente scolastico negli esami di primo ciclo, l’apertura sarebbe vanificata. Il ministero, infatti, chiede che l’eventuale sostituto del preside a presiedere l’esame nella propria scuola del primo ciclo vada scelto tra i docenti di scuola secondaria che abbiano già svolto la funzione di presidente di commissione per l’esame di Stato del primo ciclo e che non siano impegnati negli esami. Una limitazione inaccettabile per le corporazioni, perché, sostengono, “vincolerebbe la scelta che il dirigente deve fare ad una cerchia troppo limitata”.

Ma perché i sindacati (tutti uniti questa volta) hanno insistito sulla loro richiesta? La situazione è sempre la solita: dietro al paravento della “parità di trattamento” (tutto deve essere possibile a tutti, battaglia che risale al tema del ruolo unico per tutti), sta la prosaicità del trattamento economico. Infatti, mentre il preside del primo ciclo che presiede gli esami non ha alcuna indennità, ma solo eventuali rimborsi di spese viaggio (di fatto mai ottenute per la vicinanza della sede assegnata), il suo collega del secondo ciclo non solo ha una indennità di fissa di 1.249 euro, ma pure un rimborso di missione garantito che può raggiungere, per chi necessità di più di 100 minuti per raggiungere la sede, i 2.266 euro. Insomma — e non è ipotesi improbabile — può giungere a percepire fino 3.515 euro (D.M. 24 maggio 2007).

E’ super-evidente il grande vantaggio di questa seconda posizione. Tra l’altro (e non a caso lo ricorda il sindacato Anp) “il compenso per l’esame di maturità concorre a formare la base contributiva e pensionabile della retribuzione del dirigente scolastico”. Capito?

Si capisce bene come i sindacati si siano fatti voce delle attese di diverse centinaia di dirigenti scolastici del primo ciclo, che da sempre, non vincolati alla presidenza dell’esame di licenza media (che, appunto, non prevedeva compensi di sorta), si rendevano disponibili per le presidenze della maturità.

La conseguenza più clamorosa della vittoria sindacale sarà che i dirigenti scolastici del primo ciclo potranno svincolarsi dall’obbligo di presiedere in casa propria la commissione dell’esame di licenza media alla quale la Buona Scuola li aveva vincolati.

E’ chiaro che nella questione, per i sindacati, non sono in gioco né questioni didattiche (in forza delle quali il D.Lgs. 62/2017 aveva legato il compito della valutazione d’esame finale nella licenza media alle persone che per tre anni hanno valutato l’alunno), né questioni di competenza professionale, visto che il ripristino della facoltà di domanda pre-esistente non si collega ad alcuna esperienza professionale del presidente negli istituti di istruzione secondaria superiore. Cioè: la questione non ha nulla a che fare con il merito dei processi di valutazione o con la qualità della scuola.

Tra l’altro, a proposito di battaglie per la parità di trattamento, è interessante porsi una domanda: perché gli stessi sindacati non hanno esigito la medesima possibilità per i docenti delle medie liberi dagli esami di licenza media e dotati di titoli necessari, di fare domanda per gli esami di maturità?

La questione incomprensibile resta un’altra: perché i sindacati non hanno pensato di risolvere il problema chiedendo un compenso adeguato per il presidente di commissione dell’esame di licenza? Anche perché la norma — bisogna dirlo — che ha scelto di incardinare “gratuitamente” alla presidenza di commissione della licenza media il dirigente interno, ha fatto la “furbata” a  favore delle casse dello Stato.

Ma c’è un altro aspetto ben più serio che i sindacati (e la politica, bisogna dirlo) hanno ancora una volta trascurato e che diverse associazioni professionali hanno sempre sollevato di fronte a tutta la complessa e rituale macchina annuale degli esami di maturità: che senso ha una spesa enorme per una procedura valutativa che non opera alcuna selezione, visto che i promossi hanno raggiunto il 99,5 per cento?

Insomma: come l’associazione professionale di presidi Disal sostiene da tempo, l’intero esame di Stato è un rito bizantino antiquato a cui non crede più né il mondo delle università (che, infatti, oramai testano gli studenti prima della data dell’esame di maturità), né il mondo del lavoro (che non guarda neppure il risultato della maturità, ma le attitudini e le competenze pratiche dei ragazzi da assumere).

Che senso ha occuparsi di  battagliette, che tra l’altro non presentano neppure “nobili” risvolti? Se di questioni economiche serie si deve parlare, si abbia allora il coraggio di una abrogazione del modello attuale di esame finale del secondo ciclo (così come di quello del primo ciclo di istruzione), con relativa abolizione del valore legale del titolo di studio, per introdurre una procedura di fine ciclo efficace di valutazione e attestazione finale di competenze acquisite. In questo modo non solo si ridarebbe dignità ad una procedura di fine ciclo, ma si potrebbero destinare le risorse recuperate al miglioramento professionale di dirigenti scolastici (oggi tra i più bistrattati di tutto il mondo della pubblica amministrazione) e docenti.

 

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