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Rel-azione, differenza, progetto

Soffermarsi sulla “relazione” significa ri-entrare (entrare continuamente) nella realtà che definiamo “concreta”.  Mi ri-fletto nella relazione nel senso che mi calo in quel luogo nel quale ci ri-creiamo ri-creando la realtà. Qui preferisco scrivere “rel-azione” che significa costruire spazi comuni, in-visibili (che vivono nel profondo del visibile); agire, allora, è la perenne sintesi del tutto-di-noi nel tutto-di-ogni-altro-DI-noi nel tutto-di-realtà. Quando utilizziamo la parola rel-azione parliamo di un processo profondo che mette in gioco il tema del “chi siamo ?”.

La rel-azione è complessa perché com-prende l’incontro- conflitto. La rel-azione è misteriosa perché evolve nella nostra im-prevedibilità (cosa vive nel profondo del noi prevedibile ?). Complessità e mistero sono elementi da tenere in conto ogni qual volta abbiamo a che fare con esseri  umani che non corrispondono a ciò che pensiamo di conoscere e con contesti che esprimono sensibilità e processi vitali differenti dai “nostri” e che sentiamo come diversi.

Se la differenza è la cifra della realtà, la rel-azione è “comunicazione progettuale”.  Nella rel-azione ci comunichiamo, reciprocamente, le differenze che incarniamo e, che ne siamo consapevoli o meno, ci contaminiamo per fecondarci. Come dicevo prima, in tale comunicazione si sviluppa l’incontro-conflitto che, si badi bene, costituisce un unicum; voler eliminare il conflitto dalla nostra condizione umana  significherebbe credere che possa esistere un mondo perfetto, perfettamente totalitario.  L’incontro non è il mondo del Bene Assoluto come il conflitto non è il mondo del Male Assoluto; questi mondi sono l’uno nell’altro, il mondo-della-realtà.

Ri-tornare nel senso profondo della realtà è, per prima cosa, un viaggio nella rete in-estricabile e im-prevedibile della realtà stessa. “Oggettivizzare” la realtà (esaltandoci come “soggetti auto-referenziali” fino a dogmatizzarci), ciò che ci piace molto fare a partire dal “nostro” punto di vista, è un po’ negarla; infatti, non si possono oggettivizzare i percorsi dell’in-estricabile e dell’im-prevedibile, a partire da noi stessi. Scrive De Monticelli (Idee viventi, 2018, pag. 121): il più fondamentale dei doveri è la veglia critica, in particolare rispetto a se stessi, e l’attenzione sempre rinnovata a ciò che è in gioco, quali beni e quali mali. Si domanda De Monticelli (Idee viventi, 2018, pag. 122): abbiamo fatto noi tutti gli sforzi sufficienti per capire quali implicazioni di valore siano contenute – poniamo – in altre culture, come potrebbero rivelarci aspetti assiologici della vita che ci sfuggono ?

Il progetto di civiltà chiede la pazienza e l’abilità della com-prensione. Esistiamo in un mondo che ha smarrito il talento dell’attesa, nel quale vogliamo risolvere ogni sfida in maniera esasperatamente competitiva, stravolgendo il senso della decisione e travolgendo ogni esperienza umana nel nome di presunti “universali culturali”. De-contestualizzare il mondo, rendendo le culture oggetto di semplicistica promozione ed “esportando” i valori, ci porta a volare sulla realtà, come se la realtà fosse il campo nel quale “testare” la validità delle nostre certezze e non, invece, il banco di prova nel quale problematizzarle. Dovremmo avere l’urgenza dei problemi e della loro comprensione, com-prensione e possibilità di soluzione e, invece, abbiamo soltanto la fretta di risolverli senza conoscere.



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